Continuano i racconti sui retroscena degli scatti più iconici: nell’articolo di oggi ti parlerò de La Marianna del Sessantotto.
Parigi, un giorno qualunque del 1998, La Marianna del Sessantotto.
Caroline de Bendern sta uscendo dal palazzo in cui abita, quando il portiere la ferma per consegnarle una raccomandata, dall’aspetto molto importante.
La ragazza prende la busta su cui campeggia l’intestazione di uno studio legale di Parigi, quello degli avvocati che stanno seguendo la sua causa contro il fotografo Jean-Pierre Rey.
All’interno è nascosto il finale di una storia iniziata quasi trent’anni prima, a partire esattamente dal 13 maggio 1968, quando era una giovane ragazza con l’entusiasmo della vita davanti a sé.
E di quell’entusiasmo ne aveva pagato, e ne stava ancora pagando, le conseguenze, nel bene e nel male.
Gira tra le sue mani la busta, guarda l’intestazione, l’indirizzo di casa, quasi a cercare di leggere in trasparenza il contenuto in quella comunicazione ufficiale.
Vorrebbe fare come i giocatori di poker, che spillano le carte con la freddezza del professionista.
Ma lei è un’impulsiva, dominata dalla passione.
Altrimenti non avrebbe partecipato, quel lontano giorno di maggio, alla manifestazione contro la guerra nel Vietnam, lasciandosi trasportare dall’euforia collettiva di migliaia di persone scese in piazza contro tutto e contro tutti:
- Il governo
- La società
- Il mondo
Quei momenti le passano davanti agli occhi come se fosse ieri.
Le piazze sono piene di folla, si marcia compatti, cantando e urlando slogan, quegli stessi che diventeranno famosi negli anni a seguire.
Stanca di camminare, Caroline sale sulle spalle del suo amico pittore Jean-Jacques Lebel.
Qualcuno le passa una bandiera vietnamita, lei inizia a sventolare con passione, come fanno altre migliaia di sbandieratori, continuando a cantare e urlare.
La manifestazione è ripresa dai fotoreporter, che cercano di districarsi in quella selva umana per trovare l’inquadratura migliore da vendere bene alle agenzie di stampa: sono cani che hanno fiutato un osso succoso.
Uno di questi, Jean-Pierre Rey, rimane colpito da quella ragazza con la bandiera, che gli porta subito alla mente il quadro di Delacroix, con la Marianna che guida il popolo verso la libertà, sventolando il tricolore francese.
Inizia così a scattare foto a Caroline che, istintivamente si mette in posa, porge il suo lato migliore, d’altra parte è una modella professionista e sa come fare per apparire al meglio.
Nei giorni seguenti la rivista Life pubblica una delle foto di Jean-Pierre, con grande meraviglia, e un po’ di orgoglio, da parte di Caroline.
Meno contento è suo nonno, Maurice Arnold de Forest, conte di Bendern, ricco possidente inglese.
Con la colazione, il maggiordomo gli ha consegnato anche una copia di Paris Match, l’altra rivista su cui campeggia la foto della nipote, in quell’atteggiamento altamente disdicevole per la sua nobile famiglia.
Dopo un immediato momento di collera, il conte rientra nell’abituale freddezza e dà istruzioni al notaio di radiare il nome della ribelle Caroline dall’asse ereditario.
Già aveva sorvolato a fatica la scelta della ragazza di lavorare come modella, come se avesse avuto la necessità di lavorare, ne aveva compreso gli eccessi di gioventù, ma questa volta aveva superato ogni limite.
La messa al bando da parte del nonno segna, per Caroline, l’inizio di una parabola discendente, che tocca il fondo quando le agenzie internazionali di modelle per cui lavora, non la chiamano più per i servizi di moda e di pubblicità: non vogliono avere a che fare con quella pericolosa rivoluzionaria.
Tutti pensano a salvaguardare il loro buon nome.
Dieci anni più tardi anche Caroline cerca di salvare la sua reputazione, colpita da questa sorta di messa al bando, e denuncia per danni Jean-Pierre Rey che non ha chiesto il suo consenso per la pubblicazione della foto, ma il tribunale rigetta la richiesta.
La motivazione è di quelle che segnano la storia del diritto all’immagine: la foto è stata scattata durante un evento pubblico e quindi non necessita di alcuna autorizzazione.
E questa sarà la sentenza anche per il secondo ricorso del 1988.
Ora, a trent’anni di distanza, nelle mani di Caroline c’è la busta che contiene l’epilogo di quella lunga storia, che la ragazza spera, si illude, sia diverso dai precedenti.
Ma sa già, razionalmente, che non sarà così.
In fondo non ha rimpianti per quello che ha fatto, è stata fedele ai suoi ideali, gli stessi di un’intera generazione che cercava di costruire un mondo migliore, malgrado la naturale inesperienza di un’età ancora acerba e senza malizia.
Una coerenza che si paga di persona, a un prezzo a volte molto alto.
Solo un dispiacere rimane nel cuore di Caroline: non essere riuscita a riappacificarsi con suo nonno, a spiegargli il motivo del suo comportamento, anche se forse non lo avrebbe compreso.
Il vecchio conte de Bendern era già deceduto nell’ottobre del 1968, a pochi mesi da quella manifestazione di piazza che aveva dato inizio a tutta la vicenda.
* * *
Il racconto che avete appena letto è frutto della mia fantasia, traendo spunto però dalla manifestazione del 13 maggio 1968 contro la guerra del Vietnam.
Quell’evento fu l’inizio delle contestazioni giovanili, operaie e sociali che si estesero a tutta l’Europa, e che in Italia presero il nome di “autunno caldo”.
A causa delle foto scattate da Jean-Pierre Rey, se da una parte Caroline fu diseredata dal nonno, dall’altra divenne l’icona del Sessantotto parigino.
La sua immagine, per la somiglianza con la Marianna di Delacroix, è stata utilizzata in ogni occasione che ricorda quella lontana stagione di voglia di libertà.
Intervistata a distanza di anni, Caroline ha poi affermato che non si è mai pentita di ciò che ha fatto, e lo rifarebbe ancora quando necessario.
Tant’è che nel 2017 era scesa nuovamente in piazza a Londra, per protestare contro l’uscita del Regno Unito dalla Comunità europea.
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