Spiaggia di Kill Devil Hills, Kitty Hawk (Nord Carolina), 17 dicembre 1903 – Il primo volo dei Fratelli Wright
Orville e Wilbur Wright li conosco da parecchio, da quando lavoro con il signor Charlie Taylor, il meccanico che aveva già collaborato con la bottega di biciclette dei due fratelli.
Me li ricordo, ero stato assunto da poco, quando erano arrivati con un fascio di disegni sottobraccio e si erano chiusi nell’ufficio del padrone.
C’erano stati un bel po’ di tempo e mentre lavoravo buttavo un occhio al di là del vetro che separa l’ufficio con l’officina.
Stavano tutti e tre in piedi, chinati sul tavolo su cui erano stati srotolati i grandi fogli di carta.
Poi erano usciti dall’ufficio, i due fratelli erano andati via, il signor Taylor invece aveva radunato noi operai e ci aveva detto che avremmo dovuto costruire un motore a scoppio di buona potenza ma non troppo pesante, perché avrebbe dovuto volare!
“Volare!?”, ho pensato subito che stava scherzando.
D’accordo che qualche anno prima i due fratelli avevano già costruito degli alianti, che si erano alzati in aria per poco tempo, anche con una o due persone a bordo, ma da qui a metterci un motore per farli volare ce ne correva.
Un motore non è certo una piuma, per quanto lo vuoi fare leggero ha sempre un bel peso che si aggiunge a quello del pilota o di un passeggero.
Se nessuna delle case automobilistiche, a cui si erano rivolti nell’anno passato, aveva accettato di costruirlo ci sarà stato un motivo, no?
Invece loro, testardi, avevano deciso di costruirselo in proprio, con l’aiuto del mio padrone, che aveva realizzato anche le eliche.
Cioè, in realtà avevamo fatto tutto noi in officina, ed era venuto fuori anche un bel motore, un quattro cilindri in linea con 12 cavalli di potenza, ma più adatto per le automobili, che hanno quattro ruote ben piantate a terra.
Infatti l’esperimento di tre giorni fa, sempre qui sulla spiaggia di Kill Devil Hills, a sud di Kitty Hawk, in Nord Carolina, era fallito miseramente, come avevamo immaginato tutti noi presenti, meno i fratelli Wright e il mio capo.
Prima di partire avevano lanciato in aria una moneta per decidere chi sarebbe stato ai comandi e aveva vinto Wilbur, mentre Orville avrebbe dato assistenza a terra.
Però il velivolo, ribattezzato Flyer, dopo appena tre secondi e mezzo si era schiantato sulla sabbia, che per fortuna aveva attutito il colpo e nessuno si era fatto male.
Adesso siamo qui, dopo tre giorni passati in officina a riparare solo i danni alla struttura, il motore stava bene.
Orville e Wilbur un po’ meno, ma non si sono demoralizzati.
Stamattina abbiamo sistemato il Flyer su una lunga rotaia, in modo che le ruote non affondino nella sabbia e Orville è salito a bordo, stavolta è il suo turno, sdraiato a faccia in giù sull’ala inferiore, con i fianchi aderenti a una specie di culla.
È un congegno, costruito da noi in officina, che serve a regolare i movimenti dell’ala quando bisogna cambiare la traiettoria di volo.
Wilbur sta sul lato destro e tiene con le mani il veicolo per bilanciarlo nei primi secondi di volo, pronto a lasciarlo non appena prende il vento.
Eccoli, sono pronti.
Orville ha acceso il motore e il Flyer comincia a muoversi lentamente sulla rotaia, Wilbur corre piano al suo fianco, Orville accelera leggermente, Wilbur aumenta la corsa, il Flyer anche, ancora di più, ancora di più.
Si stacca da terra, Wilbur si allontana, seguendo con la sua corsa quella del velivolo.
Tutti noi, da lontano, ci aspettiamo lo schianto sulla spiaggia da un momento all’altro.
Invece il Flyer continua a volare, basso, ma a volare.
Un secondo, due secondi, tre secondi… cinque secondi!… dieci secondi!!… addirittura dodici secondi!!!
Dopo trentasei metri atterra sulla sabbia, un po’ traballante, ma senza danni.
Orville scende urlando, ma noi stavamo già urlando da un pezzo, dopo che erano passati i tre secondi e mezzo dell’altra volta, e Wilbur più di tutti.
Ce l’avevano fatta.
Quello era stato il primo volo di una macchina volante a motore con il pilota a bordo.
E l’avevamo costruita nella nostra officina, sui piani dei “fratelli volanti”, certo, ma le mani sporche di grasso erano le nostre!!!
La mattina è passata in fretta e si è fatto mezzogiorno e i fratelli Wright hanno fatto volare il Flyer in tutto tre volte, con buoni risultati, ma la quarta è andata bene e male allo stesso tempo.
Bene, perché l’aereo è arrivato a percorrere ben duecentosessanta metri in cinquantanove secondi, quasi un record, male perché si è schiantato a terra in picchiata e si è rotto in più parti.
La giornata è finita, adesso dobbiamo caricare tutto sul camion e portarlo in officina, ci sarà da lavorare parecchio.
Però quest’affare è veramente eccezionale.
Non pensavo riuscisse a volare con tutto quel peso, con quel motore che avevamo costruito noi.
Speriamo che quel fotografo sulla spiaggia abbia scattato almeno una fotografia dell’aereo in aria, perché a raccontarlo non ci si crede.
* * *
Il primo volo dei Fratelli Wright
Il racconto che avete appena letto trae spunto da una fotografia, quella del primo volo di un mezzo meccanico più pesante dell’aria, controllato da un pilota a bordo.
La foto venne scattata non da un fotografo professionista né da un amatore, ma da John Thomas Daniels, un semplice addetto del Life-Saving Service, l’agenzia americana incaricata della sorveglianza delle coste per il salvataggio di marinai e naufraghi.
Quella mattina era in servizio sulla spiaggia di Kill Devil Hills e, incuriosito, si era avvicinato al capannello di persone intorno a quella strana struttura di tela e metallo.
Subito Wilbur aveva approfittato della sua presenza, mettendogli in mano la propria fotocamera, una Gundlach Korona V a banco ottico, tutta in legno, cavalletto compreso.
Aveva regolato l’otturatore, misurato la messa a fuoco sul punto dove pensava che l’aereo potesse prendere il volo, poi aveva dato la “pompetta” per lo scatto in mano a Daniels, dicendogli di premere non appena il Flyer si fosse alzato da terra.
Quando l’aereo era atterrato, Wilbur era corso da Daniels per sapere se avesse scattato la foto, ma il guardaspiaggia aveva risposto che, nell’emozione di vedere quello spettacolo straordinario, non si ricordava se aveva schiacciato o meno la pompetta.
I fratelli Wright dovettero aspettare più di un mese per sapere se la foto era riuscita: solo nel gennaio seguente, tornati nella loro casa in Ohio, svilupparono la piccola e fragile lastra in vetro, solo cinque centimetri per sette, in cui era immortalato per sempre il primo volo meccanico a motore della storia.
Oggi, la fotocamera Gundlach Korona utilizzata da Daniels è esposta al Carillon Historical Park, a Dayton (Ohio).
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