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Francesca Woodman: L’autoritratto come esplorazione del proprio corpo

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Una pagina del libro “Some Disordered Interior Geometries”, Francesca Woodman, Woodman Family

Le fotografie di Francesca Woodman sono un’esplorazione profonda del corpo e della sua relazione con lo spazio.

I suoi autoritratti enigmatici ritraggono corpi di donne, vestiti o nudi, spesso sfocati o in movimento che interagiscono con ambienti spogli o minimalisti.

Le immagini in bianco e nero sono cariche di simbolismo, in cui ogni elemento sembra raccontare una storia intima.

Questa è la fotografia di Francesca Woodman, nata nel 1958 a Denver, Colorado.

Cresce in un ambiente familiare fortemente artistico: suo padre George è pittore e fotografo, sua madre Betty una ceramista, mentre il fratello Charles si dedica all’arte elettronica.

La famiglia Woodman ha inoltre un forte legame con l’Italia, dove possiede una casa in Toscana, vicino Firenze.

Inoltre Francesca passa un anno di studi a Roma tramite la Rhode Island School of Design.

Grazie a queste due esperienze, Francesca viene fortemente influenzata dall’arte rinascimentale e dall’architettura italiana, su cui sviluppa poi una visione artistica.

Dopo l’anno di studio a Roma e una volta completati gli studi, nel 1980 Francesca si trasferisce a New York con l’ambizione di costruire una carriera nel mondo della fotografia.

Tuttavia, le sue immagini non trovano spazio nelle riviste di moda a cui propone il suo portfolio, segnando una crisi nella sua motivazione personale.

Francesca Woodman: Un’artista fuori dal tempo

F. Woodman_Fotografa visionaria

Le amiche della Rhode Island School of Design la descrivono come una persona “fuori dal tempo“.

Negli anni ’70, mentre la società si concentrava su politica, musica e cultura pop, lei sembrava estranea a tutto questo.

Non guardava la TV e si disinteressava delle tendenze del momento.

La scrittrice Betsy Berne, all’epoca sua compagna di classe, la definì all’inizio come una persona “stravagante“, per passare solo dopo a riconoscere in lei un’amica profonda e di forte intensità emotiva.

Un’altra compagna di classe alla Rhode Island School of Design, Sloan Rankin, convisse con Francesca durante il periodo a Roma, e posò anche come modella per alcune sue foto.

Racconta che Francesca si trovò molto bene a Roma, mentre trovava New York più difficile come stile di vita.

Racconta come avesse l’impressione che i sanpietrini che riempivano le città riecheggiavano alla perfezione con la visione artistica di Francesca, più rinascimentale e onirica rispetto ai panorami urbani di New York.

Il suo interesse per l’architettura e i nudi rinascimentali, che ammirava durante la sua permanenza in Italia, emerge infatti in molte delle sue opere.

A Firenze ad esempio, Woodman resta affascinata dal Museo de La Specola, celebre per le sue collezioni di anatomia e storia naturale.

Grazie all’amicizia con il custode, riesce a visitarlo in solitudine dopo la chiusura, accompagnata solo dalla madre, che la attende all’ingresso.

Riesce così a realizzare una serie di autoscatti di nudo, tra le vetrine del museo, a soli 18 anni.

Il suo intento non era però quello di esibirsi, ma piuttosto di rimuovere tutte le distrazioni causate dalla presenza di altre persone, per potersi esprimere liberamente.

F. Woodman_Fotografia sperimentale

L’autoritratto come linguaggio

Francesca Woodman sceglie spesso se stessa come soggetto.

Non solo per una questione di praticità, dato come diceva, dirigere il proprio corpo è più semplice che dirigere un’altra persona, ma anche perché il suo lavoro è profondamente introspettivo.

Gli ambienti in cui si ritrae e con cui interagisce sono spesso spogli e segnati dal tempo: stanze vuote, vecchie porte, specchi, tende.

Oggetti apparentemente banali diventano strumenti di interazione con il suo corpo.

In alcuni scatti si nasconde, si dissolve nel movimento, si fonde con l’ambiente circostante, come a voler scomparire o confondersi con lo spazio.

In altri, il suo corpo diventa una scultura che interagisce con l’architettura e con gli oggetti circostanti.

Francesca Woodman trasforma gli oggetti di uso quotidiano in elementi chiave della sua narrazione visiva.

A Roma, insieme alla compagna di stanza Sloan Rankin, visita spesso i mercati alla ricerca di abiti da utilizzare nei suoi scatti.

In una delle sue fotografie più famose, la vediamo aggrappata allo stipite di una porta, con una sedia posizionata poco distante.

L’immagine evoca un senso di sospensione, di vulnerabilità, suggerendo una possibile allusione alla crocifissione o persino a un tentativo di suicidio, crea domande.

Cosa ci fa lassù? Come ci è salita se la sedia è così lontana?

Uno dei progetti più iconici di Francesca è Some Disordered Interior Geometries, un’opera realizzata a partire da un vecchio libro di geometria italiano.

Al suo interno, l’artista incolla piccole stampe fotografiche e aggiunge annotazioni scritte a penna nera, che fungono spesso da didascalie.

Tramite analogie e contrasti, Francesca fa interagire le immagini e i testi con il contenuto originale del libro, creando una sorta di linguaggio geometrico visivo personale.

Cosa raccontano le sue fotografie?

Untitled, c.1977-78,Gelatin silver print, Francesca Woodman, Woodman Family Foundation

Ritraggono l’infelicità e la sofferenza di una giovane ragazza?

Una persona che si diverte davanti all’obiettivo?

 Un inno al femminismo, l’orgoglio di esporre il proprio corpo nelle fotografie?

Le interpretazioni sono molteplici.

Dato che la Francesca nasconde spesso il volto nelle fotografie, la critica d’arte Rosalind Krauss vede nel suo lavoro un tentativo di nascondersi allo sguardo maschile, di mimetizzarsi in qualche modo.

La madre Betty, invece, descrive le sue fotografie come il frutto di un gioco, un modo per divertirsi sperimentando con il proprio corpo e con gli spazi.

La curatrice Corey Keller, del Museo d’Arte Moderna di San Francisco, interpreta il suo lavoro come una forma di autoespressione: un’esplorazione di sé piuttosto che un manifesto femminista.

Anche quando ritrae altre persone, sembra sempre rappresentare se stessa.

A mio avviso, un esempio significativo che sostiene questa teoria, è una fotografia in cui tre ragazze tengono davanti al volto una stampa del viso di Francesca, quasi a suggerire un’identificazione tra i soggetti e l’autrice.

Le fotografie di Francesca Woodman affrontano temi profondi e ricorrenti, primo fra tutti l’esplorazione dell’identità e della fragilità dell’essere.

Il suo corpo diventa un mezzo espressivo, spesso sfuggente: si dissolve nel movimento, si fonde con lo sfondo o si nasconde dietro oggetti, come se cercasse di annullarsi o di dialogare con lo spazio circostante.

Il rapporto tra corpo e ambiente circostante è centrale nelle sue immagini, che mostrano interazioni intime con elementi come sedie, porte o persino un cesto di anguille.

In altre fotografie, la vediamo immersa nella natura, avvolta da un lenzuolo bianco, in pose enigmatiche attorno ad un albero, probabilmente in Toscana.

Le sue opere sono un viaggio nell’introspezione e nell’esplorazione del sé, una ricerca visiva che intreccia il corpo, la mente e lo spazio, dando vita a immagini oniriche e cariche di significato.

Sono immagini gotiche e allo stesso tempo sensuali.

Lo stile e il linguaggio visivo sono chiari, definiti, seppur allo stesso tempo misteriosi.

Tutti questi temi che Francesca ha trattato con le sue foto hanno ispirato molti altri artisti, tra cui Nan Goldin.

Le sue foto richiamano in modo chiaro l’esplorazione del proprio corpo, l’esposizione dello stesso davanti all’obiettivo della fotocamera.

In The Ballad of Sexual Dependency, la fotografa appare in molte foto, momenti di vulnerabilità, intimità e introspezione, in cui il corpo diventa il mezzo per raccontare esperienze personali, emozioni profonde e dinamiche relazionali.

Una tragica fine

Nel 1981, a soli 22 anni, Francesca Woodman si toglie la vita a New York, lasciando un corpus di 800 straordinarie fotografie.

Ho scelto di inserire questa informazione alla fine, poiché spesso il suo lavoro viene interpretato attraverso la lente della sua morte prematura.

Tuttavia, credo che concentrarsi solo su questo sarebbe limitante.

La sua eredità artistica trascende ma è comunque intrecciata fortemente con la sua biografia: è una ricerca profonda sull’identità, sul legame tra corpo e spazio, e sulla potenza della fotografia nel trasmettere emozioni intense e introspettive.

Fonti, per approfondire:


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