Il Festival del Cinema di Venezia 2022 si chiude con l’assegnazione del Leone d’Oro, come miglior film, al documentario All the beauty and the bloodshed.

La regista, Laura Poitras, attraverso un ritratto intenso e coinvolgente, porta all’attenzione del grande pubblico la storia personale, le battaglie e le opere della fotografa americana Nancy (Nan) Goldin, considerata tra le più importanti e rivoluzionarie artiste contemporanee.

Nan Goldin nasce a Washington nel 1953 in una famiglia ebrea molto convenzionale.

Trixie on the Ladder, NYC, (1979)

La sua giovinezza viene sconvolta, ad 11 anni, dal suicidio della sorella maggiore Barbara, adolescente ribelle, che i genitori, incapaci di comprendere, avevano deciso di rinchiudere prima in orfanotrofio e poi in istituto fino al tragico giorno in cui la ragazza decide di chiudere i suoi giorni sdraiandosi sui binari di una ferrovia al passaggio del treno.

La vicenda non fu mai apertamente discussa in famiglia.

I genitori erano convinti che negare la verità, al punto di rimuoverla, fosse la strategia migliore per tutelare la famiglia ed il suo buon nome.

Nan esce fortemente provata dall’esperienza e la sua indole ribelle diventa sempre più evidente.

Inizia a far uso di sostanze, viene espulsa da varie scuole e passa attraverso la convivenza con diverse famiglie affidatarie.

A 15 anni, in seguito ad un progetto, la scuola le affida una macchina Polaroid che, diventa, come lei stessa dice, “la sua voce”.

La fotografia le consente di esprimersi, di comunicare ciò che non riesce a fare in altro modo.

Tra il 1974 e il 1977 frequenta la School of the Museum of Fine Arts di Boston e nel 1978 arriva a New York dove trova, finalmente, una famiglia in quella che oggi sarebbe chiamata la comunità LGBT+.

Nan Goldin and Brian in bed, NYC, 1983

In questa nuova vita prende forma il suo lavoro più importante, quello che, a buon diritto, viene indicato come uno spartiacque concettuale ed estetico che influenzerà negli anni a seguire diversi settori fotografici, compreso quello della moda:

“The Ballad of Sexual Dependency”Nan Goldin

“un diario che ho lasciato aperto affinché le persone lo leggessero,
è il modo in cui mantengo il controllo sulla mia vita.
Mi permette di immortalare quasi ossessivamente ogni dettaglio.”

Il lavoro, dedicato a sua sorella Barbara, è una sorta di diario intimo e familiare scattato in 35mm a colori, cosa inusuale nella fotografia d’arte dell’epoca, composto da una serie di diapositive (circa 700) scattate dall’artista a partire dal 1979.

Le immagini, prive di attenzione alle classiche regole estetiche e formali, sono delle istantanee della vita quotidiana della “tribù” di cui Nan fa parte.

Una comunità variegata ed unita in cui si alternano momenti di gioia e condivisione ma anche grandi dolori, solitudine, tristezza, malattia e morte.

Nan Goldin fotografa tutto quello che le accade intorno e quello che accade a sé diventando spesso protagonista di immagini dure, come nel caso del famoso autoritratto ad un mese dalle percosse ricevute dal suo fidanzato.

French Chris at the Drive-in, NYC, (1979)

Anche quando non è presente nell’inquadratura, l’artista, è dentro l’immagine, non osserva la scena, è parte di essa.

La sua è una fotografia viva, carnale, ossessiva, un modo per azzannare il tempo, fermarlo, annientarlo, consegnare la vita alla memoria.

Nulla deve essere dimenticato, cancellato, rimosso.

Conservare tutto quello che si può delle persone care, persone che, spesso, ha perso durante il suo cammino come sua sorella ed i tanti amici scomparsi per overdose e AIDS.

Le prime proiezioni di The Ballad, nei club appartenenti alla controcultura newyorkese, sono quasi delle proiezioni private alle quali partecipano gli amici dell’artista che, spesso, sono anche ritratti nelle immagini.

La sequenza delle diapositive cambia ad ogni proiezione, cambiano le musiche che accompagnano lo slide show e cambia anche la durata.

Nel corso degli anni la lunghezza della proiezione subisce delle modifiche passando da 20 a 30 minuti fino ad arrivare alla versione attuale di 45 accompagnata da una colonna sonora di circa 30 pezzi.

Il lavoro viene immediatamente visto con sospetto da un ambiente artistico ancora maschilista e conservatore, troppo distante dall’estetica contemporanea. 

Quelle immagini avvolte in una luce ambiente spesso insufficiente o rischiarate dal lampo del flash, sbilenche, mosse, che ritraggono situazioni personali, intime, momenti che andrebbero nascosti, censurati, consegnati all’oblio o quantomeno alla privata visione casalinga, non trovano immediatamente riconoscimento in un mondo dell’arte che non era ancora preparato a quel tipo di visione (nonostante nel 1971 fosse uscito Tulsa di Larry Clark).

Cookie at Tin Pan Alley, NYC, (1983)

Nel 1986 The Ballad of Sexual Dependency diventa un libro.

Nel 1987 vince il Photographic Book Prize of the Year from Les Rencontres d’Arles, e negli anni successivi diversi premi tra i quali il prestigioso Hasselblad Foundation International Award.

Il lavoro è stato esposto nei più importanti festival e contesti museali diventando una delle pietre miliari della storia della fotografia.


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