Crimea, 23 aprile 1855, “The valley of the shadow of death” – Roger Fenton.
Il grosso carro chiuso, con la scritta “Photographic Van” sul fianco, stava arrancando sulle strade sconnesse e polverose della penisola russa, fino a quando il guidatore Marcus Sparling non tirò a sé le redini e i cavalli arrestarono l’ingombrante veicolo.
Un signore in abito completo scese dall’abitacolo e si fermò sul bordo della piccola valle che si stendeva ai suoi piedi, brulla rocciosa e piena di arbusti, tipica del paesaggio che aveva imparato a conoscere in quelle poche settimane di permanenza in Crimea.
Roger Fenton, questo il nome dell’uomo, era sbarcato ai primi di marzo nel porto di Balaklava, che fungeva da base delle operazioni militari inglesi, francesi, turche e piemontesi, contro l’impero russo.
La guerra durava già da un anno e mezzo e il governo britannico, per compensare i crudi e spesso critici resoconti di William Howard Russell, corrispondente del quotidiano The Times, aveva pensato di documentare la vita dei soldati al fronte con il nuovo mezzo di riproduzione di immagini, la neonata fotografia.
Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, il ministro della Guerra di Sua Maestà aveva richiesto un fotografo volontario alla Royal Photographic Society e Fenton si era reso disponibile, non conoscendo ancora le difficoltà a cui sarebbe andato incontro.
Ora, mentre osservava la valle ai suoi piedi, Roger ricordava perfettamente gli ordini ricevuti dal generale James Henry Somerset, più noto come lord Raglan, comandante del contingente inglese in Crimea: niente fotografie di morti e feriti, sia sul campo di battaglia sia nelle retrovie, per non colpire la sensibilità dell’opinione pubblica.
Inoltre doveva tenere quel suo ingombrante carro fotografico almeno a un chilometro dalla linea di combattimento, perché era un facile bersaglio e punto di riferimento per le artiglierie russe.
Così Roger Fenton aveva fotografato solamente gruppi di ufficiali in posa davanti alle loro tende, compagnie di soldati al campo, scene di vita quotidiana dietro le linee.
Tutte immagini che potevano essere tranquillamente realizzate in qualsiasi caserma o durante le esercitazioni in Gran Bretagna, soprattutto con maggior comodità.
Adesso però voleva almeno una foto di un campo di battaglia, per questo si trovava lì, davanti a quel piccolo avvallamento, dove qualche giorno prima c’era stato un combattimento e un bombardamento, almeno a giudicare dalle palle di cannone sparse tra gli arbusti.
Sì, pensò, forse questo poteva essere un inizio.
Risalì sul carro e iniziò a prepararsi per lo scatto: mescolò il collodio con alcol ed etere e, facendo molta attenzione, lo stese sulla lastra di vetro, che sensibilizzò immergendola in un bagno di nitrato d’argento.
Ora, una volta inserita la lastra nella fotocamera, Fenton aveva all’incirca quindici minuti per scattare e sviluppare la foto, altrimenti il collodio si sarebbe asciugato rendendo inutile tutto il procedimento.
Tornato velocemente sul punto in cui era prima, posizionò il treppiede con la fotocamera in direzione della valletta, inquadrò e scattò, per ritornare di nuovo sul carro a sviluppare la foto.
Le complesse operazioni di sviluppo, con l’immersione della lastra in una soluzione di solfato ferroso, restituirono la perfetta riproduzione della valle, ma senza nulla di evidente che ricordasse una scena di un combattimento, solo una pietraia arsa e brulla, in cui le palle di cannone erano seminascoste tra rocce e cespugli.
Dopo aver riflettuto sul risultato appena ottenuto, Roger Fenton pensò che forse avrebbe potuto modificare opportunamente la scena.
Chiamò il suo assistente Marcus e il cuoco William e con loro scese nella valle a spostare alcune palle di cannone, ammucchiate sul bordo della strada, facendole rotolare proprio in mezzo alla carreggiata.
Un compito pesante, ma che forse avrebbe fatto risaltare maggiormente la realtà della guerra, senza indugiare sulla sua crudezza.
Ritornato sul bordo della valletta, ammirò compiaciuto il risultato di quella fatica: niente male, proprio niente male.
Nel carro ripeté, ormai quasi a occhi chiusi, le operazioni di sensibilizzazione della lastra, caricò la fotocamera e andò a scattare la foto.
Alla fine, stanco ma soddisfatto, Roger Fenton poteva ammirare la seconda immagine della valle, in cui ora spiccavano, sul bianco polveroso della strada, le presenze nere dei proiettili sparati.
Una muta presenza, nell’assenza di soldati vivi o morti, che testimoniava quanto era accaduto giorni prima.
Un silenzio che evocava il frastuono delle cannonate.
Un vuoto riempito dall’ombra della morte, come recitava il Salmo 23.
Fenton ancora non lo sapeva, ma aveva scattato una delle prime foto di guerra nella giovane storia della fotografia.
* * *
Il racconto di fantasia che avete appena letto è frutto della mia curiosità, che trae spunto dalla foto intitolata “The Valley of the Shadow of Death”.
Ancora oggi, divide il mondo dei critici sulla sua validità di documentazione a causa dell’evidente spostamento delle palle di cannone, effettuata da Fenton, direttamente o forse con l’aiuto di alcuni soldati.
Tra l’altro, agli inizi del Duemila, le indagini del documentarista Errol Morris hanno accertato che la foto senza palle di cannone è stata scattata prima di quella con i proiettili sulla strada.
Una simile accusa di falsificazione, peraltro mai provata, verrà poi lanciata contro Robert Capa, per il suo “Miliziano morente” della Guerra di Spagna, differente è il caso della foto di Fenton.
Occorre spiegare che le difficoltà di scattare foto direttamente sul campo di battaglia, sia per la complessa sensibilizzazione e sviluppo delle lastre, sia per lo spostamento dell’ingombrante carro fotografico, abbiano indotto l’autore a modificare il luogo di una battaglia già avvenuta, per enfatizzare il suo messaggio di documentazione senza modificarne la sostanza.
Sapevi che le foto di Fenton in Crimea sono state inserite dal Magazine Life ne le “100 foto che hanno cambiato il mondo”?