In tutto questo caos di milioni di immagini, di immagini che creano un percorso proprio, di questi album aperti (a proposito di album, qui parliamo dell’album collettivo) dai quali ognuno potenzialmente può (lecitamente o meno) attingere a ciò che vuole, nasce spontanea una domanda:
come sta mutando il ruolo dell’autore?
Oggi risulta molto più rilevante, in certi ambiti, chi ascrive senso alle immagini rispetto a chi le mette al mondo.
Risulta avere in alcuni casi maggiore rilevanza la mente autoriale rispetto al braccio.
Si tratta di una dinamica che non è difficile vedere nel mondo dell’arte.
L’esempio più famoso probabilmente è quello di Duchamp con la sua opera “Fontana”.
Ci stiamo forse addentrando in quello che è il ready-made della fotografia, avendo sufficiente materiale da poterlo scomporre e ricomporre creando nuovi significati.
Il problema si pone quando una nostra immagine viene utilizzata da terzi per fare altro.
Ci sono due opzioni, che chiameremo “appropriazione” e “adozione” delle immagini
Nel caso dell’appropriazione delle immagini non vi è nessun accordo tra le parti e non è così difficile (nel momento in cui è possibile dimostrare la paternità della fotografia) averla vinta su chi ce l’ha rubata.
Il caso dell’adozione invece è quello che trovo decisamente più interessante, che apre nuove strade e nuove visioni possibili.
Nell’adozione esiste un accordo tra le parti, più o meno formale, per poter utilizzare l’immagine creata da qualcun altro per scopi che colui che l’ha scattata non aveva previsto.
Nell’adozione possiamo dire che la paternità dell’immagine rimane di chi l’ha creata, ma la tutela ideologica nel nuovo significato è nelle mani dell’adottante.
Non siamo palesemente più nell’epoca in cui le immagini si custodivano in cassetti bui dai quali uscivano solo per essere mostrate a pochi eletti, al contrario, nel cassetto buio non ci entrano neanche.
E allora non ha forse senso pensare che non abbiamo sfruttato tutto il potenziale di quello che abbiamo creato?