Inauguriamo la nuova rubrica, come precedentemente annunciato nel mio articolo di presentazione, con Sebastiao Salgado.

Economista, fotografo, avventuriero, ma soprattutto uomo tra gli uomini.

Sebastião Salgado, brasiliano classe 1944, ha saputo raccontare, con la sua inconfondibile profondità, le bassezze più atroci e l’immensa bellezza della nostra terra.

Terminati gli studi di economia a Parigi, Salgado negli anni ‘70 inizia, grazie al suo incarico presso l’Organizzazione Mondiale del Caffè, a viaggiare in Africa.

Al ritorno da questi viaggi riporta sempre moltissime immagini, così tante da decidere che quello di fotografare sarebbe poi diventato il suo mestiere.

I suoi primi lavori si concentrano sul continente africano, viaggiando tra Mali, Ciad, Eritrea, Etiopia.

Documenta le gravi conseguenze della siccità nel Sahel, i conflitti, le carestie, la denutrizione e l’esodo di massa delle popolazioni colpite. 

La mano dell'uomo - Sebastiao salgado
La mano dell’uomo, Serra Pelada, Brasile, 1986

A metà degli anni ‘80 inizia, insieme a sua moglie, a progettare Workers – La mano dell’uomo, una serie di reportage che lo hanno portato a viaggiare in 26 paesi per diversi anni.

Il lavoro, sebbene realizzato in un’epoca fortemente tecnologica, è un omaggio al lavoro manuale, ad un mondo produttivo prossimo alla scomparsa.

Dal 1986 al 1991 realizza 40 reportage in giro per il mondo immortalando:

  • le miniere d’oro e le piantagioni di canna da zucchero in Brasile
  • i raccoglitori di tabacco di Cuba
  • le tonnare del sud Italia
  • le grandi unità di produzione in Cina
  • i pozzi di petrolio nel Golfo Persico
Copertina di Sahel The end of the road - Salgado
Copertina di “Sahel: The end of the road”

Dal 1993 al 1999 si dedica alla realizzazione del progetto Exodus, fotografando uomini, donne e bambini in fuga da guerre, povertà, disastri ambientali e cambiamenti climatici.

Qui puoi trovare l’articolo di “fotografia iconica” sullo scatto “Jade Maiwan, un tempo la strada principale di Kabul. Afghanistan, 1996” estratto proprio da questo lavoro.

Il reportage sul genocidio in Ruanda e quelli realizzati per In Cammino, un lavoro sulle grandi migrazioni, segnano per Salgado un punto di svolta.

Provato dalle violenze che aveva visto ed immortalato, si ammala e cade in una profonda depressione che lo porta a star male anche fisicamente, tanto che, spinto anche da una consultazione medica, decide di smettere di fotografare. 

“In Ruanda vidi la brutalità totale. Vidi persone morire a migliaia ogni giorno e persi la fiducia nella nostra specie. Non credevo che fosse più possibile per noi vivere. Fu a quel punto che mi ammalai”

Alla fine degli anni ‘90 i coniugi Salgado ritornano in Brasile nella fattoria di famiglia nella valle del Rio Doce, una valle ricca di miniere d’oro e ferro, e trovano un paesaggio totalmente mutato.

La foresta atlantica che una volta ricopriva l’intera area, non esisteva più.

La deforestazione selvaggia aveva distrutto l’intera zona rendendola arida.

Parte da qui la nuova vita di Sebastião Salgado.

Nel 1998 fonda, con la moglie Lélia, l’Instituto Terra per la riforestazione della fascia atlantica brasiliana.

Il maestoso progetto prevedeva la piantumazione di oltre 2,5 milioni di alberi partendo dall’area della vecchia fazenda di famiglia.

La rinascita della vegetazione, della quale continuano ad occuparsi, ha portato con sé la ricomparsa di:

  • 172 specie di uccelli
  • 33 di mammiferi
  • 293 di piante
  • 15 di rettili
  • 15 di anfibi

Gli ultimi due progetti di Salgado riflettono il nuovo corso della sua vita.

Genesis, Kafue National Park, Zambia, 2010 - Sebastiao salgado
Genesis, Kafue National Park, Zambia, 2010

Genesis, iniziato nel 2004 e durato circa 8 anni, è un viaggio attraverso i continenti alla scoperta di zone ancora incontaminate, dei luoghi d’origine dell’uomo, di tribù indigene, di santuari di biodiversità. 

Il colossale lavoro, diviso in 5 sezioni, Il Pianeta Sud, I Santuari della Natura, l’Africa, Il grande Nord, l’Amazzonia e il Pantanal, è stato esposto in tutti i più importanti musei del mondo.

“Sono stati anni magnifici, che mi hanno portato gioie immense. Dopo aver visto tanto orrore, ho potuto contemplare tanta bellezza…
Durante la realizzazione dei reportage, Leila mi ha spesso raggiunto nei miei viaggi.
Insieme, siamo rimasti tante volte senza fiato di fronte alle maestosità della natura e a tutte le forme di vita che vi regnano, attraverso i milioni di specie che la abitano.
Alla fine, la Terra ci ha regalato una magnifica lezione di umanità. Scoprendo il mio pianeta, ho scoperto me stesso e ho capito che tutti noi siamo parte dello stesso insieme – il sistema Terra”

Sciamano Yanomami dialoga con gli spiriti prima della salita al monte Pico da Neblina. Stato di Amazonas, 2014
Sciamano Yanomami dialoga con gli spiriti prima della salita al monte Pico da Neblina. Stato di Amazonas, 2014

L’ultimo lavoro Amazônia è dedicato a questo territorio che lui stesso definisce, in una conversazione con Mario Calabresi, Paradiso.

Anche in questo caso si tratta di un lavoro a lungo termine, 7 anni di riprese fotografiche.

Tutto ciò, grazie ad una lunga progettazione ed alla costruzione meticolosa delle spedizioni che hanno accompagnato i reportage.

Il fotografo, ha percorso l’Amazzonia via terra, acqua e aria.

Ha così restituito un percorso di rara bellezza attraverso un territorio per la maggior parte ancora vergine e proprio per questo va preservato e tutelato in tutta la sua complessità.

Lo stile di Sebastiao Salgado:

Sceglie il bianco e nero con cui accompagna da sempre i suoi reportage.

Questa scelta è frutto della volontà ben precisa di dare importanza al soggetto e a ciò che esso trasmette senza cadere nelle distrazioni del colore.

Secondo lui, inducono lo spettatore a ricostruire una parte della realtà attraverso l’immaginazione riuscendo, in maniera più incisiva, nell’opera di interiorizzazione dell’immagine.

I primi lavori presentano una scala di grigi molto estesa con una gamma spinta verso il basso e neri profondi.

Questo comunque, non va a penalizzare la tenuta delle alte luci che risulta particolarmente evidente nelle immagini scattate in controluce.

Palme, stato di Amazonas, 2019 - Salgado
Palme, stato di Amazonas, 2019

In Amazônia, soprattutto nelle immagini che riguardano la natura ed il paesaggio, il bianco e nero diventa più contrastato con bianchi molto lunimosi, quasi ai limiti della sovraesposizione, e una gamma più ridotta di grigi che produce stampe di forte impatto visivo. 

Il fotografo, ha più volte dichiarato di non essere spinto dall’idea di fare delle belle immagini, né di essere troppo attento a fattori prettamente estetici.

Non penso troppo alla luce ed alla composizione, il mio stile è dentro di me, quella luce è quella del Brasile, quella che porto dentro di me da quando sono nato”

Nonostante ciò è stato spesso accusato dagli esperti di settore di eccessiva ricerca formale ed estetismo.

La fotografia di Sebastiao Salgado, qualunque sia il tema, ci riporta ad un racconto fatto di:

  • umanità
  • rispetto
  • profonda empatia

verso tutti i soggetti ripresi, siano essi uomini, animali o paesaggi.

I suoi occhi sono capaci di trasmettere poesia anche nella rappresentazione degli eventi più tragici, di restituirci l’uomo sempre nella sua dignità e far risplendere di luce persino le anime che sembrano spente.

P.S.: Per chi volesse farlo è ancora possibile visitare la mostra Amazônia presso il Museo Maxxi di Roma prorogata fino al 25 Aprile.


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