Giulio Andreini è nato nel 1959 ed è un fotografo e giornalista professionista con sede in Italia, a Siena.

È specializzato in reportages geografici, etnologici, di argomenti artistico-culturali, e di news.

Le sue foto ed i suoi reportage sono stati pubblicati sulle più importanti riviste Europee ed Internazionali, come: Focus, Geo, Smithsonian Magazin, National Geographic, Volta ao Mundo, Il Corriere della Sera, L’Equipe, El Mundo, Rutas del Mundo, El Pais, Abenteuer und Reisen, Merian.

Dopo la precedente intervista A-Focus di Piero del Governatore, qui conosciamo meglio Giulio Andreini!

Qual è il tuo genere fotografico preferito?

Sono entrato in contatto con la fotografia professionale nel 1981 come assistente nello studio fotografico di Stefano Biliotti e Guido Guidi a Firenze.

Stefano era un conosciutissimo fotografo di moda, Guido invece si occupava di fotografia di pubblicità ed industriale.

Per me è stata una grande esperienza: non solo dal punto di vista tecnico dove ho potuto conoscere il lavoro della moda fatto da Stefano principalmente in medio formato con Hasselblad, sia in studio che in esterno.

Nepal_Katmandu-1982

Lo è stato anche seguire i lavori di pubblicità eseguiti da Guido con il banco ottico, un FATIF che permetteva i formati 9×12 cm e 13×18 cm.

Il mio compito era consegnare e ritirare le pellicole in Laboratorio, per cui anche lì imparavo mille cose sugli sviluppi ed il trattamento delle pellicole e delle stampe.

Quella fu una breve esperienza però una grande formazione.

Il mio interesse tuttavia era lavorare per l’editoria geografica ed antropologica.

Avevo una grande attenzione per la vita di strada e della gente comune.

La mia fortuna è che il mio genere preferito di fotografia è coinciso con quello che ho avuto la possibilità di svolgere per professione.

Appena laureato in antropologia entrai in contatto con il Touring Club Italiano che allora operava in quel settore con importanti riviste e libri.

Per me fu una grande opportunità perché il mio portfolio, grazie anche all’esperienza tecnica che mi ero fatto precedentemente in studio, piacque molto ed ottenni il mio primo servizio fotografico su commissione dalla rivista “Vie del Mondo” per realizzare un reportage ad Istanbul.

Era una rivista allora molto importante perché metà dei reportage arrivavano dal magazine “Traveller” del National Geographic e metà erano realizzati dal Touring Club Italiano.

A distanza di quasi 40 anni apprezzo moltissimo quel reportage e mi emoziona ancora oggi quando lo rivedo.

A quel lavoro ne seguirono molti altri. 

La collaborazione per “Vie del Mondo” e per il dipartimento libri illustrati del Touring Club Italiano proseguì per diversi anni fino alla realizzazione, su loro incarico, del libro fotografico “Argentina”.

Nel frattempo avevo cominciato collaborazioni con altre riviste e editori di libri fotografici soprattutto in Germania, Portogallo e Spagna dove pubblicavo regolarmente i miei reportage e le mie foto.

La collaborazione in Spagna con “Rutas del Mundo” durò anni, fino alla chiusura della rivista.

Oggi le mie foto sono rappresentate dalle maggiori agenzie internazionali, anche se ormai ne sono rimaste pochissime perché i tempi sono molto cambiati.

Qual è il tuo primo ricordo legato alla fotografia?

Il mio primo ricordo legato alla fotografia è forse la prima foto in diapositiva che ho scattato.

Grosseto-1980

Fu a Grosseto nel 1980: casualmente incontrai per strada un bambino che aveva trasformato due scatoloni in edicola e vendeva i suoi giornalini.

È stata una foto inedita per oltre 40 anni ed oggi è invece la foto che apre il mio libro “Viaggio nel Viaggio”.

Mi interessava la gente comune, quello che accadeva e si vedeva per strada, il mondo così come era e come mi appariva.

Sono molto affezionato a quella foto.

C’è un’artista a cui ti ispiri o che ritieni fondamentale nel tuo percorso?

Negli anni 1980-1990 le mie riviste di riferimento erano soprattutto il National Geographic e GEO.

Erano le riviste mensili di riferimento del settore geografico-antropologico; GEO, oltre che in Germania, usciva anche nell’edizione Spagnola.

Certamente Steve McCurry era uno dei fotografi che guardavo con più attenzione.

Poi Reza Deghati con i suoi forti reportage che raccontavano anche fatti drammatici, e Hans Madej del quale ho apprezzato moltissimo il libro “Vom Ende Der Nacht” che ha raccontato la vita dei paesi dell’est Europa negli anni precedenti e subito successivi alla caduta del Muro di Berlino.

Seguivo con attenzione tutte le riviste internazionali ed i libri che pubblicavano quel genere di fotografia ed alcuni dei fotografi che avevo conosciuto di fama guardando i loro lavori li ho in seguito conosciuti di persona.

Qual è la fotografia iconica che vorresti aver realizzato tu?

Sinceramente non saprei, però penso di aver avuto la fortuna di poterne scattare qualcuna.

Palio-di-Siena-prova-07-1998

Una foto “iconica” deve trasmettere un’emozione forte, unica, decisa ma contemporaneamente anche sottile e delicata che possa farla diventare l’essenza di una situazione.

Anche quando il luogo e tempo dello scatto sono palesi, divengono il contorno in cui si muove qualcosa di più grande che li trascende.

Ci vuole veramente molta fortuna per scattare una foto così.

Basta un attimo, uno sguardo che cambia, qualcosa che rapidamente si evolve e tutto si spenge: una scena può perdere la forza che la rendeva assolutamente speciale.

Può accadere che ci si accorga di aver scattato una foto “iconica” soltanto dopo, riguardando il lavoro, perché spesso si coglie qualcosa casualmente.

Qualcosa che noi stessi non avevamo notato essendo concentrati in altro.

Parlaci del tuo scatto che ti ha dato maggiore soddisfazione!

In tanti anni di lavoro ho avuto più di uno scatto che mi dato soddisfazione, ma dovendone scegliere uno è quello realizzato in Serbia, a Belgrado nel 2003 nella Skadarska Street al Ristorante Sesir Moj.

Belgrado-2003

Una signora faceva il giro dei ristoranti cantando accompagnata da due musicisti.

Era elegante, brava e simpatica e suscitò l’ammirazione di un signore altrettanto elegante e gentile.

La guerra era finita da poco e la gente sentiva il bisogno di tornare a vivere.

Questa scena mi portò in un mondo d’altri tempi, fatto di galanteria, gentilezza, bellezza ed eleganza.

Parlaci un po’ della tua attrezzatura!

Iniziai a fotografare con una Yashica FR, poi passai alle Asahi Pentax con cui ho lavorato fino alla fine degli anni novanta.

In seguito, con l’avvento delle fotocamere autofocus, passai alle Canon con cui ancora lavoro con le moderne fotocamere digitali.

Poiché fotografo molto città ed architetture apprezzo la grande varietà di obbiettivi decentrabili che Canon possiede.

Per me sono basilari il 17mm ed il 24mm.

Utilizzo sempre gli obbiettivi zoom, sia grandangolari che tele, della serie L perché sono eccellenti e molto versatili.

In particolar modo il 24-105 mm f4 che tengo sempre in macchina come ottica di base.

Che consiglio daresti a chi si affaccia oggi per la prima volta al mondo della fotografia?

Non saprei proprio.

Giulio-Andreini_Kenia-2001

Oggi che quasi non esistono più riviste cartacee, i libri sono sempre più rari e l’editoria è quasi tutta on line, diventa molto difficile dar consigli a chi volesse avvicinarsi alla professione.

Il livello a mio avviso si è notevolmente abbassato, salvo rare eccezioni.

Tanto da scoraggiare una professione che un tempo era fiorente e di soddisfazione.

Per fortuna che ci sono molti appassionati ai quali do il consiglio di seguire e sviluppare il genere che più gli si addice e di coltivare con entusiasmo le loro capacità espressive.

A tutti coloro che amano la fotografia di strada, fotografare città, persone, arti, mestieri, professioni, o seguire eventi e situazioni, vorrei dare anche il consiglio di considerare quanto sia importante ciò che fanno e documentano.

Anche se a volte può sembrare solo divertente e scontato, ciò che fotografate oggi sarà di grande importanza domani perché la storia è fatta di documentazione e quella fotografica è preziosa.

È bene ricordarsi sempre che, consapevolmente o meno, lasciamo in eredità una traccia della nostra epoca e del nostro mondo.

Questo, per chi fotografa, vale in particolar modo.

Quali sono i tuoi sogni nel cassetto/Qual è un progetto che vorresti realizzare?

In oltre 40 anni di lavoro, avendo realizzato numerosissimi reportage, ho messo insieme un archivio molto vasto, ben organizzato ed accuratamente didascalizzato.

Un tempo lo consideravo il luogo in cui catalogavo i reportage e le immagini da inviare ai clienti che le richiedevano.

Dopo anni mi sono reso conto di possedere un pezzo di storia della nostra epoca che racconta vicende costumi ed usanze di molti paesi del mondo ed era importante valorizzarlo.

Così nacque il progetto della mostra e del libro “Viaggio nel Viaggio”.

Libro Viaggio nel Viaggio - Giulio Andreini

Lavorando soltanto su scatti realizzati da diapositiva nel periodo 1980 – 2003 ho voluto raccontare un mondo oggi radicalmente cambiato, fornendo per ogni scatto, oltre al tipo di pellicola usata, una accurata serie di informazioni che accompagnano le considerazioni ed i pensieri espressi dai bellissimi testi di Mosè Franchi curatore sia del libro che della mostra.

Oltre alla produzione di nuovi reportage vorrei valorizzare al meglio il mio archivio.

È un lavoro unico realizzato in un periodo in cui si poteva accedere a situazioni e luoghi oggi non più accessibili o totalmente trasformati.

Vorrei soprattutto lasciare in buone mani tale patrimonio affinché altri ne possano trarre beneficio un domani, accrescendo le loro conoscenze e la loro consapevolezza.

Spero di riuscirci.


Puoi trovare Giulio Andreini su:

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