Buongiorno amici di Universo Foto, oggi con questo articolo ZERO apriamo sul nostro magazine online una nuova sezione dedicata allo STORYTELLING.

Cosa è lo storytelling? La domanda di per sé è semplice ma la risposta contiene tante definizioni, tanti significati

Ho pensato di chiederlo a Erika Pezzoli, che già conoscete per la rubrica sulla storia della fotografia (non voglio svelarvi niente ma a breve partirà una sua nuova interessante rubrica).

Erika, con i suoi studi nel mondo della fotografia, sicuramente saprà darci alcune risposte semplici ai nostri dubbi sullo storytelling; inizierò quindi a farle alcune domande!

Questa parola la sentiamo spessissimo quando parliamo di mondo dell’immagine. Ma che cos’è poi questo “storytelling”?

È il racconto di storie. Non importa se a mezzo foto o video, l’importante è che sia raccontata una storia. Per raccontare una storia non ci sono regole particolari da seguire, tranne una: deve essere chiaro, anche a una persona esterna che non sa di cosa stai parlando, cosa vuoi dire con il tuo racconto.

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 scatto di Gordon Parks, del lavoro “Segregation Story”

Come si organizzano questi progetti?

Ci sono un sacco di modi per organizzare il racconto di una storia.

Prendere appunti può essere un ottimo metodo, creare uno schema e segnarsi i punti fondamentali di quello di cui si vuole parlare può essere importante e permette di non tralasciare nulla di importante e fondamentale per la comprensione del racconto.

Quali sono gli approcci possibili a una storia?

Raccontare una storia per immagini è la stessa identica cosa di raccontarla con le parole.

Si può avere un approccio più documentaristico, uno più fotogiornalistico, un interesse antropologico, uno storico, culturale e potremmo andare avanti.

Ogni punto di vista da cui si può scegliere di raccontare una storia è valido, e ognuno di questi ha un suo specifico linguaggio, che si intreccia con lo sguardo dell’autore.

Recentemente ho studiato un autore che racconta la maggior parte delle storie che gli sono stateassegnate attraverso la vita quotidiana dei propri soggetti. Il risultato è sorprendente.

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 scatto di Gordon Parks, del lavoro “Segregation Story”

Però per avere un approccio del genere bisogna avere un livello sufficiente di confidenza con il soggetto. Come fa chi utilizza questo metodo?

Ci vuole sicuramente molta empatia, ma anche tantissima attenzione umana e interesse per quello che le persone hanno da raccontare. Essere degli ottimi ascoltatori può rivelarsi una dote fondamentale.

Se ipotizziamo che un fotografo voglia raccontare i ragazzini del proprio quartiere, trascorrere un pomeriggio a giocare a pallone con loro può essere un metodo assolutamente funzionale per farsi accettare.

Una volta che vieni accettato e le persone si abituano alla tua presenza cominci a scattare.

Entri così in una nuova fase del lavoro, spesso non meno corposa della prima in realtà.

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 scatto di Gordon Parks, del lavoro “Segregation Story”

Qual’è oggi il senso di raccontare una storia per immagini, magari non strettamente legata all’attualità?

Il senso sta nello sguardo di chi scatta. Più è bravo l’autore più è in grado di far capire a chi osserva poi i suoi scatti cosa si prova nella situazione oggetto del suo racconto.

Ci regala la capacità di immergerci e di riflettere, spesso e volentieri su temi che non conosciamo, forse ritenuti marginali, ma che fanno parte della storia dell’umanità.

Chi è davvero in grado di decidere quale storia è importante conoscere e quale no?

Non perderti il primo articolo “Fiorire in quarantena”.

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