La storia di Evgenia Arbugaeva inizia a Tiksi, un remoto villaggio russo immerso nella tundra gelata della Siberia, dove il vento artico canta antiche canzoni e il cielo sembra un palcoscenico di luci danzanti.
Qui Evgenia nasce, 39 anni fa, e trascorre la sua infanzia circondata da paesaggi fiabeschi e sconfinati che sarebbero rimasti per sempre impressi nella sua memoria modellando, in seguito, la sua espressione artistica.
La ricerca di sé: dalla Russia a New York
Dopo un periodo trascorso con la sua famiglia a Yakutsk, una delle città più fredde del pianeta, si trasferisce a Mosca per studiare Economia e Management.
Al termine degli studi, però, sente di essere lontana dal suo percorso personale e decide di provare a seguire la passione che l’accompagna sin dall’adolescenza: la fotografia.
Si trasferisce a New York ed inizia frequentare il corso di fotografia documentaria presso l’International Center of Photography.
Tiksi: il ritorno e il primo lavoro importante di Evgenia Arbugaeva
Alla fine di questo percorso l’artista sente di dover tornare nella sua terra.
In particolare, avverte il richiamo verso i suoi luoghi d’infanzia e, insieme alla sua macchina fotografica, fa ritorno a Tiksi.
Evgenia trova una situazione profondamente mutata.
La città, dal crollo dell’Unione Sovietica, ha subito un forte declino ed un importante spopolamento a causa della chiusura del porto.
Le si presenta una realtà molto lontana dai suoi ricordi.
Tra tutte le immagini scattate, solo una accende in lei l’interesse: è quella di una bambina che gioca a tirare i sassi nel mare.
L’incontro casuale con Tanya, questo il nome della bambina, ed il legame che si svilupperà con la sua famiglia consentiranno all’autrice di riconnettersi con la sua terra e sarà la chiave di sviluppo del suo primo lavoro importante.
Attraverso gli occhi di Tanya, Evgenia, intraprende questo viaggio sospeso tra passato e presente in cui ogni cosa è intrisa di un senso di bellezza fragile, come se il tempo potesse spezzarla da un momento all’altro.
Bambini che si intrattengono in vecchi parchi giochi, paesaggi innevati, interni di case riscaldati da una luce morbida, oggetti dimenticati che raccontano storie di chi li ha usati, ci parlano della vita intima di questo villaggio.
La serie Hyperborea: l’Artico tra realtà e leggenda
Nel 2013 la Arbugaeva intraprende un viaggio di circa due mesi a bordo di una nave rompighiaccio che trasporta rifornimenti alle stazioni meteorologiche artiche più remote ed isolate.
Al termine di questa esperienza, la fotografa decide di tornare in alcuni di questi luoghi dando vita ad un ciclo di lavori dal titolo Hyperborea.
Il termine evoca il territorio leggendario del Nord, una terra perfetta e utopica, ma le immagini, rivelano una realtà fatta di decadenza, di luoghi abbandonati e di storie intrecciate con la durezza dell’ambiente artico.
La serie è un dialogo con il tempo: ogni scatto racconta di un passato che lentamente si dissolve, ma che resiste nei dettagli:
- Una tazza lasciata su un tavolo
- Delle mele appena scartate dall’involucro a protezione del gelo
- Un’antenna inclinata dal vento
- L’ombra di un naufragio
- Una stazione meteorologica sommersa dalla neve, con un’unica finestra illuminata
Un segnale di vita in un mondo che sembra addormentato.
Fanno parte di questo ciclo: Weather Man, Kanin Nos, Dikson e Chukotka.
La magia e il messaggio delle fotografie di Evgenia Arbugaeva
Weather Man è un ritratto romantico di Vyacheslav Korotki, detto Slava, e della sua vita solitaria nella vecchia stazione meteorologica Hodovarikha.
L’autrice con uno stile che mescola il documentario alla poesia visiva, ci invita a entrare nel microcosmo di quest’uomo, fatto di strumenti antichi, giornate scandite dal ritmo del vento e un profondo legame con la natura.
I protagonisti di Kanin Nos, immersi in un paesaggio onirico e surreale, sono Evgenia e Ivan, guardiani di un faro nell’isolata penisola di Kanin.
Dikson è un lavoro dedicato all’omonima città affacciata sul mare di Barents, una volta considerata la capitale dell’artico russo ed ora completamente abbandonata.
Evgenia ha vagato per le sue strade deserte e le case abbandonate per circa tre settimane, ma le immagini sono state scattate nelle poche ore in cui l’aurora ha illuminato il cielo.
Chukotka ci racconta di una comunità che abita da millenni il punto più remoto della Russia del nord vivendo dei frutti della terra e del mare.
I luoghi fotografati dalla Arbugaeva sono circondati dal silenzio, ci appaiono irreali, magici, avvolti nel tempo sospeso in cui abitano i ricordi custoditi dal cuore.
I paesaggi rischiarati dalla tenue luminescenza dell’alba artica, sono più vicini ad un sogno che a qualcosa che riusciamo ad immaginare come reale, tanto da farci interrogare sulla loro esistenza.
Oltre alla bellezza visiva, le sue fotografie ci ricordano quanto sia fragile il nostro ecosistema, costantemente minacciato dai cambiamenti climatici; quanto sia delicato ed interconnesso l’equilibrio tra la natura e le vite che vi si intrecciano, che le storie da preservare non sono solo quelle che gridano per farsi sentire, ma anche quelle che sussurrano.
I suoi lavori ci invitano a fermarci, a osservare, a custodire.
Tu conoscevi già Evgenia Arbugaeva ed il suo stile fotografico? Facci sapere cosa ne pensi nei commenti qui sotto!