Che la fotografia sia un linguaggio oggi è più che mai evidente: nel linguaggio verbale, una parola una volta pronunciata esaurisce il suo compito.

Sono le conseguenze delle parole a nascere dalle parole stesse e a sopravvivergli.

Con la fotografia si tratta della medesima dinamica.

Pensate anche solo alla ormai quotidiana funzione “Storie” su vari social network.

Non è difficile che nascano dibattiti causati da una fotografia, più o meno edificanti, che restano aperti a potenzialmente chiunque.

Fotografia e parola sono unite in un flusso di comunicazione che le rende complementari

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La maggior parte delle immagini presenti sui social network più utilizzati sono piene di errori fotografici, dalla composizione alla vera e propria sintassi dell’immagine.

Molte immagini non vengono scattate da professionisti e nemmeno da aspiranti tali, ma ciò non toglie che queste fotografie esistano e circolino.

Nascono così delle istantanee imprecise e sgrammaticate create allo scopo di essere documentazione personale (condivisa) temporanea.

A questo sommiamo che l’essere umano, come buona parte delle specie animali se non tutte, impara per imitazione: ecco che gli errori possono diventare seriali.

Un esempio su tutti?

I piedi “tagliati fuori” dall’inquadratura quando si sta scattando una fotografia ad una persona a figura intera.

Non lo nota nessuno se non viene specificatamente evidenziato.

Gli errori fotografici diventano parte dell’estetica visiva e vengono tacitamente accettati

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La sperimentazione a sua volta ha un fortissimo legame con il concetto di errore, che può essere parte del processo o punto di partenza per creare altro.

Sommiamo a tutto quello che abbiamo detto che la fotografia non ha regole rigide, ma più che altro indicazioni.

Perciò, cosa è definibile realmente come errore?

Abbiamo già detto che le immagini si moltiplicano a milioni ogni giorno, modificando così il nostro rapporto con lo spazio, la memoria e la nostra stessa identità.

Facciamo fotografie continuamente, in maniera più o meno indiscriminata, il che porta ad un apparente appiattimento degli istanti: tutto è degno di essere ricordato così come non lo è nulla.

È tutto contemporaneamente banale e straordinario.

L’istante decisivo, quello tanto caro a Bresson, non è stabilito solo dalla composizione corretta, ma anche e soprattutto dal saperlo
riconoscere nel presente.

Esercizio che oggi praticamente è stato abbandonato.

Tutti siamo collezionisti di immagini, nascono moltissimi lavori seriali e altrettanti concettuali, forse anche nella necessità di una nuova catalogazione di questa collezione di frammenti di realtà.

Forse questa moltitudine di fotografie sta creando dei labirinti la cui struttura è composta dalle immagini stesse ed è la risoluzione di questi labirinti a creare un nuovo senso.

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