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Una foto, una storia: Morte di una fotografa – Gerda Taro

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Gerda Taro – Dintorni di Brunete, Spagna, 25 luglio 1937.

Sono quasi venti giorni che stiamo combattendo per mantenere il controllo di Brunete.

I nostri ufficiali ci hanno spiegato che tenere la città significa impedire ai nazionalisti di Franco di far arrivare i rifornimenti alle loro truppe che stanno assediando Madrid.

Ai primi di luglio abbiamo colto di sorpresa i nemici con colpi di artiglieria e bombardamenti aerei, ma nei giorni successivi i falangisti hanno reagito perché sono arrivati i rinforzi da altre parti.

Poi è intervenuta l’aviazione tedesca della Legione Condor e i nostri aerei sono troppo vecchi a confronto dei loro Heinkel He 51 e Messerschmitt Bf 109, basta vedere quello che hanno combinato a Guernica ad aprile, più di mezza città è andata distrutta.

Noi abbiamo resistito, con alti e bassi, ma più bassi, ci sono state tantissime perdite tra feriti e caduti, anche nelle brigate di volontari che combattono con noi.

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L’unica cosa che aiuta ad attenuare le brutture di questi giorni è vedere Gerda Taro, la pequeña rubia, la piccola fotografa bionda che salta di qua e di là, sia sulla linea di fuoco che nelle retrovie.

L’anno scorso l’ho vista a Cordoba seguire uno dei nostri soldati mentre era in azione.

Non ha paura di niente, per scattare una foto come dice lei sarebbe capace di andare fino all’inferno, e infatti è qui a Brunete, che tra il fuoco e le fiamme di questi ultimi giorni ci somiglia molto.

Non è come gli altri giornalisti che vengono qui, che prendono un po’ di appunti, fanno qualche scatto, ma senza avvicinarsi troppo al pericolo, non sia mai, poi se ne tornano alla tranquillità delle redazioni dei loro giornali.

Lei no, ci ha fotografato tutti, quando combattiamo, quando mangiamo, quando dormiamo, e pure quando moriamo.

Vuole far sapere a tutti cosa è questa guerra, una guerra che stiamo faticando a combattere per cercare di vincerla.

Stamattina è arrivato l’ordine di evacuare le posizioni e ritirarci verso Madrid, senza nessun’altra indicazione se non quella di arrangiarci, ognuno per sé e Dio per tutti.

I reparti non esistono quasi più, decimati da un mese di combattimenti, c’è una gran confusione di automezzi, si sale a bordo di ogni vettura pur di andare via da qui.

Io ho trovato posto nella cabina di guida di un camion, siamo in tre in quello spazio ristretto.

Davanti a noi vedo Gerda Taro, insieme a quel suo collega canadese, che ferma l’automobile nera che ci precede, passa le sue fotocamere al passeggero, poi sale sul predellino, tenendosi con la mano al montante del finestrino.

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La marcia della colonna procede lentamente, nonostante le veloci incursioni aeree della Condor.

All’improvviso uno dei nostri carri armati sbuca da un lato, tagliando la strada alla vettura nera, che sbanda per non prenderlo, il tank tampona la parte anteriore, l’auto sbanda, Gerda perde il sostegno, cade a terra, il carro le passa sopra con le sue dieci tonnellate, e prosegue senza nemmeno accorgersi di quello che è successo.

Caccio un urlo, urliamo tutti, scendiamo per portare soccorso, c’è poco da soccorrere, Gerda ha il corpo maciullato dai cingoli del tank, ma è ancora viva.

La portiamo al riparo in un fosso perché gli aerei mitragliano ancora, un ultimo passaggio poi si allontanano.

Arriva l’ambulanza, chiamata chissà da chi, gli infermieri prendono Gerda insieme all’altro reporter, anche lui parecchio ferito, e si dirigono verso Madrid, verso l’ospedale inglese all’Escorial.

Hai sfidato la morte un milione di volte sul fronte, e invece la morte ti ha accontentato con un banale incidente d’auto, semmai esiste un modo banale di morire.

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La guardiamo andare via, non la rivedremo mai più.

Adiós, pequeña rubia, adiós

* * *

Il racconto che avete appena letto trae spunto dal triste episodio della morte di Gerta Pohorylle, più conosciuta come Gerda Taro, famosa fotoreporter e compagna di Robert Capa, al secolo Endre Friedman.

Sensibile fotografa e appassionata alla causa repubblicana nella guerra civile di Spagna, visse insieme ai soldati per lungo tempo per raccontare soprattutto le loro vite, attraverso gli scatti delle sue fotocamere Leica.

Mentre il giornalista canadese Ted Allen, ferito anche lui nello scontro, riuscì a salvarsi, Gerda morì nell’ospedale di Madrid, all’alba del giorno seguente al suo ricovero: non aveva ancora ventisette anni, che avrebbe compiuto il 1° agosto.

Un’infermiera che la assistette nelle ultime ore di vita raccontò che nei pochi momenti di lucidità Gerda si preoccupò delle sue fotocamere, chiedendo se si fossero salvate dall’incidente.

In una bara improvvisata sul momento la sua salma venne trasferita prima a Tolosa e in seguito a Parigi.

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Il funerale fu tenuto proprio il giorno del suo compleanno e il corteo funebre fece una breve sosta davanti alla redazione del periodico Ce soir, con cui collaborava, per un saluto da parte dei suoi colleghi, poi proseguì verso il cimitero laico di Père Lachaise.

La salma, accompagnata dai versi del poeta Pablo Neruda e commemorata da Louis Aragon, venne tumulata in una tomba disegnata appositamente per lei da Alberto Giacometti, il quale collocò sulla lapide la statua di una măiastra, l’uccello sacro che nelle fiabe popolari rumene è dotato di poteri magici, tra cui trasformarsi e proteggere gli eroi.

Qualche anno più tardi Louis Aragon ricorderà questo momento dicendo:

«I parigini hanno dato alla piccola Taro una sepoltura straordinaria, dove tutti i fiori del mondo si sono incontrati.
Capa, al mio fianco, piangeva, e quando il corteo funebre si è fermato ha nascosto i suoi occhi nella mia spalla».

Alcuni mesi dalla sua scomparsa il suo compagno Robert Capa pubblicò il libro intitolato Death in making, contenente una serie di immagini scattate insieme.

La dedica recitava: «A Gerda, che trascorse un anno in Spagna. E lì rimase per sempre».

Per ironia della sorte anche lui morirà sul campo di battaglia, durante la guerra in Indocina, saltando sopra una mina antiuomo.

La rivista americana Life del 16 agosto 1937 scrisse: «È probabilmente la prima fotografa mai uccisa in azione», aggiungendo: «La sua morte avvenne in uno di quei modi non eroici offerti anche dalla guerra».


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