Florence Art Deposit Gallery ha presentato una mostra della fotografa bielorussa TaMara nell’ambito del progetto internazionale “Dialoghi tra i Popoli attraverso la Storia, l’Arte e la Cultura”.
L’arte della fotografia, una profonda filosofia della natura, della vita e la limpida semplicità delle sue immagini si fondono in un unico messaggio.
Yuliya e Alesia Savitskaya presentano un’intervista a TaMara.
– Tamara, la mostra “Panchina” presso Florence Art Deposit Gallery, qual è il significato del titolo della mostra personale?
T: Questa è una sorta di mostra concettuale, anche se non ho mai avuto intenzione di farne una.
Comunque dopo la scelta delle galleriste è stato chiaro che c’è una linea che unisce tutta l’esposizione.
Il concetto è da un lato, molto semplice, ma dall’altro profondo, radicato nella tradizione della vita umana – la cultura agraria.
Il significato di questa tradizione è andato perduto nel mondo, con mio rammarico.
La società ha cambiato i suoi valori.
Con la mia mostra, voglio mettere in luce e persino riportare la consapevolezza alla semplicità e alla bellezza della natura che ci nutre tutti.

– Perché, allora, si usa una Panchina come simbolo?
T: Una Panchina… Evoca molte associazioni… relax, una tregua dopo un lungo viaggio; un posto in un giardino o in un parco dove sedersi all’ombra degli alberi o circondati da fiori, leggere, riflettere, ripensare… o un posto vicino casa, dove la vita si svolge.
Ma dai… La panchina evoca molte immaginazioni, ricordi e pensieri diversi… (sorride).
È una sorta di pausa tra ciò che è stato fatto e ciò che deve ancora venire.
Uso la mia Panchina per sistemare il raccolto del mio orto e i fiori del mio giardino.
Questo è il frutto del mio lavoro, che nutrirà me e i miei cari e contribuirà al prolungamento del corpo, e quindi del pensiero.
Questo è ciò che evoca emozioni potenti, l’incentivo ad essere un creatore prima di diventare un consumatore.
Questa mostra è il frutto dei miei pensieri, esperienze e ispirazioni che mi sono venuti sulla mia panchina.
– È interessante che lei sia un ingegnere di professione, persona che ha lavorato in un ambiente intellettuale fatto di regole e precisione. Perché ha iniziato a fare l’orto in pensione?

T: Ho iniziato a fare l’orto fin dall’infanzia.
Vivevamo fuori città, a 12km da Minsk, avevamo un appezzamento di terra piuttosto grande.
Quando ero ancora piccola mia padre morì.
Per sostenere la famiglia, mia madre, oltre al suo lavoro, coltivava l’orto e vendeva erbe aromatiche, verdure e frutta al mercato.
L’aiutavo in questo e sebbene avessi solo 5-10 anni ero una bambina diligente e attenta tanto che fui presa come assistente nel laboratorio di agraria dove oltre a lavare le provette, aiutavo ad incrociare e innestare le piante e osservavo i cambiamenti svolgersi da bordo campo.
Questo processo era una sorta di magia, una sorta di miracolo!
Grazie a questa esperienza, ho iniziato a capire che il nostro mondo è unico.
Amo ancora osservare questa unicità.
Quando le mie piante crescono, parlo con loro.
A me piace osservare come la natura cambia i suoi cicli.
E siccome sono abituata dal mio lavoro alla precisione non smetto mai di stupirmi della precisione dei processi naturali racchiusi nei dettagli, negli attimi.
– È per questo che sei diventata fotografa?

T: Si, mi interessa catturare il momento che cambia, catturare il gioco della luce naturale.
Catturo il carattere dell’oggetto nel mio obiettivo, così come l’ho visto.
Dopo confronto la foto con l’oggetto reale.
Non fotografo mai composizioni creative costruite, ma solo composizioni reali, soggetti che nascono spontaneamente.
Sono un fotografo amatoriale, non ho completato alcuna formazione formale per imparare a scattare belle foto.
Attraverso le mie foto, trasmetto il mondo così come lo vedo e lo sento.
– Secondo lei, cosa hanno in comune la fotografia e la cultura agricola?
T: Il concetto di “cultura”: la prima è l’osservazione, la contemplazione e la formazione di un’idea.
La seconda è una catena di azioni sequenziali che alla fine producono un risultato.
Il nostro mondo è sconvolto, inquinato da “effetti rumorosi”, da parole vuote. Bla bla bla … la nostra società attuale è diventata piena di teorie e parole… troppa psicologia, psicoanalisi.
Ma non è stato ancora scoperto nulla di meglio della terapia “lavoro con terra e acqua”.
Lavorare con il suolo sembra sia semplice, ma richiede un’azione sistematica e pratica.
Non si può coltivare niente solo parlando.
Data la ricca storia della cultura agricola Italiana, sono particolarmente lieta che la mia prima mostra fotografica si svolga nell’ambito del progetto artistico internazionale “Dialoghi tra i Popoli attraverso la Storia, l’Arte e la Cultura”, in questo Paese, culla della cultura Europea.
Naturalmente sono felice di poter condividere, attraverso questa mostra fotografica, la mia semplice opinione, il mio “raccolto”, e invito tutti alla “Panchina” per riposarsi, riflettere e andare avanti con rinnovato vigore.
Esposizione: 25 ottobre – 21 novembre, 2025
Indirizzo: Firenze, Florence Art Deposit Gallery, via M.Bufalini,17, Firenze
Patrocinio:
Salviamo la Cultura Associazione;
Gruppo TFS;
Accademia Dinastia Universitaria della Nobile Famiglia Agricola;
Casa Savitskaya per Galateo;
Elia Celeste gioielleria.
Curatrice: Yuliya Savitskaya
Artista: TaMara






