Guidizzolo, 12 maggio di un anno qualsiasi – “Alfonso de Portago e il Bacio della Morte

Lunga e diritta correva la strada”, proprio come cantava Guccini, e la Ferrari 335 S n.531 guidata dallo spagnolo Alfonso de Portago sfrecciava a quasi 250 chilometri all’ora sul rettilineo della strada provinciale fra Cerlongo e Guidizzolo, per concludere quella edizione delle Mille Miglia a Brescia.

A una quarantina di chilometri prima dell’arrivo, forse per lo scoppio di uno pneumatico o per aver toccato un cordolo sul bordo della strada, il pilota non era riuscito a controllare la Ferrari.

Aveva iniziato a sbandare verso destra, frantumando un paracarro in pietra, poi aveva fatto un testa coda, andando a colpire un pioppo e un palo del telefono.

La corsa era terminata dentro al fosso che costeggiava la strada, ma intanto aveva investito il pubblico accorso per assistere alla famosa corsa automobilistica.

Ferrari 335 S - Alfonso de Portago - Nelson

La notizia era arrivata quasi subito a Mantova, dove la gara era passata da poco, e noi giornalisti, dopo un attimo di sbigottimento, eravamo saliti sulle nostre auto per raggiungere il luogo dell’incidente.

Me lo ricordo come fosse ieri quel giorno del 1957, il 12 maggio proprio come oggi.

La strada era piena di gente, di auto e moto della Stradale e dei Carabinieri, chi urlava di rabbia, chi piangeva di dolore, chi era rimasto impietrito a vedere uno scempio del genere.

Nel fango del fosso quello che rimaneva della Ferrari, ormai ridotta a un ammasso di ferraglia.

Sull’asfalto la lunga traccia di una frenata e le strisciate della carrozzeria.

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Tutt’intorno, per un raggio di venti metri, una gran quantità di rottami, il serbatoio, le lamiere contorte, gli pneumatici squarciati.

Per il senso di desolazione e morte, che stava prendendo tutti allo stomaco, i nostri fotografi faticavano a scattare foto, soprattutto ad avvicinarsi ai corpi delle vittime.

Nel rapporto di polizia, che ho avuto modo di leggere in seguito, c’era scritto:

«Il corpo del pilota de Portago veniva troncato in due e, mentre la parte inferiore rimaneva lungo il fossato di sinistra, il busto veniva proiettato sulla parte opposta della strada e sulla banchina sterrata.
Il corpo del secondo pilota, Nelson, rimaneva nel fossato di sinistra, poco distante dagli arti inferiori del suo disgraziato compagno di gara»

Poi era arrivata anche la conta dei morti: de Portago, Nelson e nove persone del pubblico, tra cui cinque bambini tra gli otto e i dieci anni, una tragedia.

La “tragedia di Guidizzolo”, come la chiameranno poi i giornalisti.

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L’incidente aveva fatto subito scalpore, sia per le vittime, sia per le forti polemiche che da tempo accompagnavano le corse automobilistiche sulle strade statali, ma soprattutto per il nome del pilota: Alfonso de Portago, tredicesimo conte di Mejorada, diciassettesimo marchese di Portago, nipote del governatore di Madrid, figlioccio di re Alfonso XIII di Spagna, nonché grande sportivo, frequentatore delle cronache mondane e affascinante playboy.

A quel tempo mi occupavo solo di sport, ma ricordo che le redazioni dei rotocalchi di attualità erano impazzite per sfornare articoli e articoli su questo nobile morto che nella sua breve vita, solo ventotto anni, aveva fatto parlare di sé per il flirt con una delle donne più belle del momento.

Dopo la fine del suo matrimonio, infatti, aveva cominciato a mostrarsi in pubblico con l’attrice Linda Christian, che da quattro anni aveva divorziato da Tyrone Power, ponendo fine a una storia d’amore che aveva appassionato tutto il mondo.

I giornalisti non si erano lasciati scappare l’occasione del binomio amore e morte, che aleggiava sulla figura di Alfonso, Fon come era chiamato dagli amici.

Due settimane più tardi la rivista americana “Life” era uscita con un articolo dal titolo “La morte finalmente prende un uomo che l’ha corteggiata“, facendo riferimento alla vita spericolata dello spagnolo, vissuta sempre al limite.

Il testo era arricchito da numerose fotografie del pilota da solo e con Linda Christian: in particolare una, in grande formato, li riprendeva a Roma, pochi minuti prima della partenza dell’ultima tappa della corsa, una lunga volata fino al traguardo di Brescia.

Lui al volante della Ferrari, lei che si china per baciarlo leggermente sulle labbra, in una foto subito intitolata “Il bacio della morte”, un ultimo bacio di addio.

A. de Portago - Il Bacio della Morte

I fatti dei giorni precedenti verranno poi riletti dai cronisti sotto una nuova luce, da film gotico, da semplice superstizione:

  • de Portago che non voleva correre, fu Enzo Ferrari a convincerlo;
  • de Portago che consegna il suo passaporto al dirigente della squadra Romolo Tavoni, pregandolo di consegnarlo alla sua ex moglie Carrol nel caso gli fosse accaduto qualcosa;
  • Linda Christian, che a un giornalista confida di aver sentito il viso di Alfonso freddo, quasi ghiacciato, mentre lo baciava per l’ultima volta;

Sembra poi che la sera precedente, a cena, avesse affermato che la vita deve essere vissuta per intero e che era meglio una vita completa per trent’anni che una mezza vita per sessanta.

Presentimento o spavalderia?

Adesso sono qui a Corte Colomba, davanti al monumento eretto nel punto esatto della tragedia, una stele in marmo e un basso muro con incisi i nomi delle vittime, per ricordare una storia passata, d’altri tempi, “quando si correva per rabbia o per amore”, per usare le parole di De Gregori.

* * *

Il racconto che avete appena letto trae spunto da una fotografia, di un anonimo fotografo, in cui è ritratto il bacio di Linda Christian al suo fidanzato Alfonso de Portago, prima della partenza da Roma per Brescia, l’ultimo bacio per il pilota spagnolo prima di morire nello schianto della sua Ferrari.

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Questo incidente provocherà anche grandi polemiche sulla pericolosità di una corsa difficile, come la Mille Miglia, che si svolgeva su strade statali e provinciali, senza barriere di protezione sia per i corridori che per il pubblico, spesso assiepato sul bordo del percorso.

Lo stesso Enzo Ferrari è accusato di omicidio colposo e lesioni personali, ma verrà assolto nel 1961 per non aver commesso il fatto.

Il grande clamore sollevato dai giornali e dall’opinione pubblica porterà addirittura ad una interrogazione parlamentare che portò gli organizzatori a limitare la prova di velocità per soli 83 chilometri di strada statale o provinciale, i restanti circa 1500 erano invece di regolarità o di trasferimento.


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