Diane Nemenov nasce a New York in una ricca famiglia borghese.

Il suo cognome cambierà in Arbus solo dopo il matrimonio con Allan Arbus, avvenuto al compimento dei 18 anni di Diane e senza l’appoggio della famiglia di quest’ultima.

Il rapporto tra Diane e Allan è fondamentale per la storia di questa fotografa. I due hanno un rapporto simbiotico fin dall’inizio, ossia da quando lei aveva 14 anni e lui 19.

Grazie ad Allan, Diane abbandona la pittura per fondare insieme a lui uno studio di fotografia, il “Diane & Allan Arbus”, in cui scattano per lo più moda, che non appassiona nessuno dei due ma permette loro di mantenersi.

Negli anni Diane si allontana dalla fotografia di moda e di conseguenza dallo studio e nel 1955 incontra Lisette Model, anche lei fotografa, che le dà il consiglio che le permette di sbloccarsi e di cominciare ad esplorare davvero il proprio linguaggio: “devi divertirti quando fai fotografie”.

Sfortunatamente più la fotografia di Diane prende forma e indipendenza, più il matrimonio con Allan si sfalda: i due si separano nel 1958 e divorziano nel 1969.

Inizia così il vero lavoro di Diane Arbus

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Dove il divertimento per lei significa superare la propria timidezza e fotografare davvero i soggetti che le interessano, per i quali ha un intimo bisogno di avvicinarsi.

Quello che spinge la fotografa è la ricerca di tutto quello a cui la sua famiglia borghese le aveva sempre detto di non guardare: gli emarginati.

Il suo lavoro è interamente rivolto all’osservazione del “diverso”, con lo sguardo e la cura di chi è cresciuta nella classe borghese newyorkese, ma che, seppur non le fosse mai interessata, le ha regalato una cosa: lo sguardo.

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I suoi soggetti sono nani, prostitute, transessuali, ermafroditi, handicappati, paralitici, circensi, ma anche la mostruosità del quotidiano, la deformità della famiglia borghese, tutti fotografati con uno sguardo non di denuncia, non è mai stato nel suo interesse, ma bensì di osservazione.

Se inizialmente Diane ha una necessità viscerale di scattare a prescindere dal rapporto con il soggetto, cambia tendenza crescendo e all’aumentare della propria consapevolezza.

Negli anni si approccia ai propri soggetti senza scattare, ma inizia a farlo quando si rende conto che questi si fidano di lei.

Solo allora solleva la macchina e comincia a premere l’otturatore.

Il suo ultimo lavoro è del 1971 e racconta di ragazzi affetti dalla sindrome di down mentre sono in spiaggia, ballano, si mascherano.

La sensazione di ingiustizia per la condizione umana, di sconforto, di amarezza è qualcosa di ben chiaro in questo lavoro e nella stessa testa della fotografa.

Diane Arbus si suicida nel 1971

Alla Biennale di Venezia del 1972 vengono esposte le sue immagini, come documento della contemporaneità, riassumibile con la frase di Franco Basaglia “da vicino nessuno è normale“.


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