Non sono mai stato in America.
Non ho mai vissuto una giovinezza spensierata lungo grossi fiumi, attraversando campi sconfinati, o perdendomi in foreste che sembrano uscire da un racconto, un po’ alla Tom Sawyer.
O per vederla in modo più moderno, come in Stranger Things o Dark.
Però, le ragazze fotografate in Girl Pictures sembrano familiari, sembrano riportarmi a momenti che ho vissuto anch’io.
Justine Kurland è una fotografa americana, nata nel 1969 a Warsaw, nello stato di New York (sì, “Warsaw” come la città polacca Varsavia).
Ha studiato alla School of Visual Arts a New York, poi ha conseguito l’MFA all’Università di Yale.
Girl Pictures: quando le adolescenti diventano protagoniste
Tra il 1997 e il 2002 Justine Kurland realizza Girl Pictures, una serie che segna il suo approdo nella fotografia autoriale.
Laureanda a Yale, comincia a esplorare un’idea di femminilità diversa da quella tradizionale, ispirata a miti americani di fuga e avventura.
Le protagoniste sono ragazze adolescenti, ritratte mentre immaginano di essere fuggite da casa per costruire comunità ai margini della città o nelle periferie.
Sono luoghi dove le regole sociali sono meno rigide, dove queste ragazze possono esistere liberamente.
Non si tratta di momenti reali, ma di realtà posate e inventate dalle stesse ragazze insieme alla fotografa.
C’è un gruppo di ragazze a New York che fotografo regolarmente. Mi chiamano continuamente per parlarmi delle loro mamme e condividere idee per le foto. Ho alcuni vestiti nel bagagliaio della mia auto e chiedo loro di indossare i loro abiti più trasandati. Voglio che sembrino un po’ provate dal viaggio, ma allo stesso tempo cerco di renderle affascinanti. Voglio scattare loro le foto più belle che posso. Le ragazze hanno così tanto potere a undici, dodici anni, proprio prima di entrare in quella fase in cui si chiudono in sé stesse e iniziano a preoccuparsi del loro aspetto, del loro corpo. Quando iniziamo, spiego loro: “Questo è il mondo: state scappando, vivete sugli alberi, mangiate nettare, torturate i ragazzi e siete un po’ cattive”. E loro capiscono.

C’è una freschezza in queste parole, una complicità tra la fotografa e le ragazze che arriva poi anche dalle immagini.
Mi colpisce come Kurland non si limiti a fotografare e istruire la costruzione del set, ma costruisca insieme alle sue modelle un mondo possibile, discutendone con loro le diverse idee.
Comunità
Molte fotografe hanno però raccontato l’adolescenza femminile, da Nan Goldin a Petra Collins.
Kurland però ci tiene a dire che non si sente sulla stessa linea delle sue colleghe.
Le sue foto vanno oltre il ritratto individuale di una ragazza, le sue ragazze non sono mai sole.
La comunità è un’idea centrale nel progetto Girl Pictures, e in generale nella fotografia di Kurland.
Il gruppo protegge, dà forza.
Ho cercato di inserire il maggior numero possibile di ragazze in ogni foto, perché volevo immaginare un’idea di comunità solidale e pensare alle ragazze che diventano più forti insieme alle altre ragazze. Ma credo di provare questa ambivalenza perché in realtà volevo solo essere lasciata in pace, mi piaceva molto la mia solitudine.

Le sue immagini oscillano tra forza e vulnerabilità.
Da un lato la spinta a ribaltare ruoli e a prendersi spazi di libertà, dall’altro il momento fragile in cui il corpo e l’identità sono ancora indefiniti.
Kurland coglie le ragazze prima di quel periodo della vita nel quale ci si chiude e ci si preoccupa di come ci vedono gli altri e del proprio corpo.
Prima che arrivi il momento dei dubbi e delle insicurezze, c’è un tempo in cui le ragazze sembrano capaci di tutto, e le foto catturano proprio questo.
È proprio questa tensione che rende il lavoro di Kurland così potente la capacità di cogliere le possibilità che l’energia e la libertà personale forniscono, prima che la società imponga limiti e modelli.
Pensare a cosa significherebbe davvero essere una ragazza adolescente in fuga sarebbe terribile. Ci sono altre storie tragiche di persone che provengono da contesti davvero difficili e che scappano perché è impossibile vivere a casa, ma non è questo il tema centrale del lavoro. Si trattava piuttosto di immaginare dove sarebbero finite queste ragazze se fossero arrivate tutte insieme. E così alla fine si tratta di queste strane comunità hippy nei boschi con ragazze che nuotano nei laghi e si intrecciano i capelli a vicenda e accendono fuochi e costruiscono fortezze e cose del genere.
Questa idea di “comunità immaginata” penso sia il cuore del progetto.
Non una cronaca di quello che esiste realmente, ma un esperimento su quello che potrebbe essere idealmente.
Venti anni dopo
Quando Girl Pictures è stato ristampato e ripresentato nel 2020, più di vent’anni dopo la sua prima realizzazione, il lavoro ha assunto nuove letture.
Le ragazze ritratte sono ormai diventate donne, e oggi, guardando quelle immagini, è impossibile non pensare al tempo trascorso.
Fotografie che ora appaiono quasi “antiche”, testimoni di una realtà possibile, ma che oggi sembra avere ancora meno possibilità di esistere.

Inoltre, oggi l’adolescenza ha un rapporto diverso con la fotografia.
La costruzione costante dell’immagine di sé attraverso i social rende quasi impensabile una spontaneità simile a quella che Kurland riusciva a evocare.
È interessante perché queste ragazze nel libro, non credo che oggi potrei scattare foto come queste perché tutti sarebbero sui loro telefoni. C’è un modo diverso di posare che ha tutto a che fare con quella circolazione costante di creare la propria immagine, avere il controllo della propria immagine, e poi questo tipo di atteggiamento da diva che ne deriva, e poi inviarla al mondo attraverso le proprie piattaforme.
Concludo l’articolo tornando alla visione che Justine Kurland ha della fotografia e dei suoi progetti.

Una delle risposte che davo quando mi chiedevano perché facessi questo lavoro, e che mi sembrava così bella che la ripetevo continuamente, era che l’unico motivo per fare questo lavoro è conoscere sé stessi ed essere conosciuti dagli altri. Ma per precisare meglio questa affermazione, quando mi veniva chiesto di approfondire: è come un’altra conversazione tra me e il mio terapeuta, o qualcosa del genere.
E forse è proprio questo che rende Girl Pictures così universale.
Non parla solo di ragazze americane, ma di un’età della vita in cui ognuno di noi ha cercato di conoscersi e farsi conoscere, di trovare il proprio posto nel mondo.
Per Approfondire:
- Lensculture – Justine Kurland
- Art Forum – 1000 words: Justine Kurland
- The Creative Indipendent – Justine Kurland
E te? Ti ci ritrovi in queste ambientazioni? Facci sapere cosa ne pensi di Justine Kurland e della serie Girl Pictures nei commenti qui sotto!






