William Klein, prima che pittore, scultore, fotografo, cineasta, è stato un uomo libero.

Un artista di rottura che ha osato e sperimentato rompendo i canoni tradizionali della comunicazione di settore in tutti gli ambiti toccati.

Nato a New York a metà degli anni ‘20, da giovanissimo frequenta assiduamente il MoMA e all’età di 14 anni, con tre anni di anticipo, si iscrive al College per studiare sociologia.

A 18 anni si arruola nell’esercito e sbarca in Europa, prima in Germania poi a Parigi dove si iscrive alla Sorbona per studiare pittura e scultura, frequentando i corsi di Andre’ Lhote e Fernand Léger.

In quegli stessi anni inizia ad interessarsi alla fotografia sostenendo che, rispetto alla pittura, fosse un mezzo più adatto a metterlo in contatto con la vita.

W.Klein - Quattro teste, giorno del Ringraziamento, broadway e 33rd, New York 1954

Nel 1954 William Klein ritorna a New York trovando una città profondamente mutata.

Klein fatica a riconoscerla, la sente quasi estranea, si aggira tra le strade come un “etnologo” e fotografa tutto quello che vede in maniera diretta.

“Cercavo scatti che fossero grezzi, il “grado zero” della fotografia”.

Lo stile delle sue immagini è distante anni luce da quello convenzionale ed affermato nell’ambiente.

Klein fa a pezzi l’estetica dominante che aveva in H.C. Bresson l’esponente più illustre il quale, ironia della sorte, pare gli abbia venduto la sua Leica 35mm.

La fotografia di Klein non ha nulla di convenzionale, non è né estetizzante né attenta alle classiche regole compositive.

Le sue fotografie sono completamente sgrammaticate secondo i canoni del tempo: mosse, fuori fuoco, con la grana evidente, dominate dai forti contrasti, manipolate in camera oscura.

L’utilizzo di obiettivi grandangolari deforma le figure, lo spinge ad avvicinarsi ai soggetti, ad entrare nella scena, diventarne parte.

La New York rappresentata da Klein, però, non piace agli editori.

È brutta, disordinata, sporca, lontana da quello che ci si aspetta di vedere, o si vuole vedere, di questa metropoli internazionale e cosmopolita.

Nessun editore negli Stati Uniti vuole pubblicare le sue immagini ed è ancora una volta la Francia a dare un contributo fondamentale alla sua opera.

Un editore francese decide di pubblicare il lavoro che viene dato alle stampe nel 1956 col titolo “Life is good and good for you in New York”.

William Klein – Roma

WilliamKlein - Festa di comunione al Gazometro, Roma 1956

Grazie a questa pubblicazione, Klein, riesce ad incontrare e conoscere Federico Fellini, uno dei registi più amati ed influenti dell’epoca.

Il fotografo lo contatta per mostrargli il suo lavoro e, con grande sorpresa, scopre che il regista non solo già conosce le sue immagini, ma possiede una copia del libro e la tiene vicino al letto.

Fellini, in procinto di girare Le notti di Cabiria, lo invita a Roma chiedendogli di fare il suo assistente sul set.

La produzione del film subisce dei ritardi e Klein decide di sfruttare il suo soggiorno per fotografare la città eterna.

W. Klein - Acquedotto via del Mandrione e Porta Furba, Roma 1956

Accompagnato da Flaiano, Moravia, Fellini e Pier Paolo Pasolini, che scriverà successivamente il testo di accompagno alla pubblicazione del libro, William Klein posa il suo sguardo irriverente e vorace sull’Urbe, ritraendo la sua anima popolare, sfacciata, ridanciana, gioiosa.

Le strade del centro storico, le spiagge di Ostia, le borgate si offrono allo sguardo del fotografo nel loro spettacolo multiforme di vita.

Roma, più che ad una grande città, somiglia ad un paese.

I bambini giocano a palla per i vicoli, gli anziani chiacchierano pigramente davanti al bar, i giovani si concedono alla macchina fotografica in un gioco scherzoso e complice.

Un palcoscenico di teatro sul quale si alternano solo attori protagonisti.

La città appare in bilico tra richiami arcaici e accenni di modernità, tra povertà e speranza, irriverenza e grazia.

Una grande comunità ancora ferita dalla guerra, ma solidale e con uno sguardo speranzoso ed aperto verso il futuro.

W. Klein - Via Renella, Trastevere, Roma 1956

La visione di questo lavoro con gli occhi di oggi ci lascia l’impressione che qualcosa di importante sia stato perso.

La poesia di quei gesti, di quei volti rimane impressa nella memoria e soprattutto nel cuore di chi guarda queste immagini che arrivano all’osservatore come la carezza di un passato che ancora non si è fatto memoria.


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