Berlino, 11 gennaio del 1927 – Metropolis di Fritz Lang.
Abbiamo impiegato un anno per terminare il film Metropolis, che ieri ho potuto vedere finalmente per intero alla prima proiezione nell’Ufa-Palast am Zoo, il cinema più importante e più prestigioso di Berlino.
Il merito di questo strano film è certo del regista, herr Fritz Lang, e di sua moglie Thea von Harbou, che ha scritto la sceneggiatura insieme al marito, però anche noi maestranze abbiamo fatto la nostra parte.
E neanche tanto piccola, se ripenso a tutte quelle comparse da gestire: più di venticinquemila persone, tra cui anche settecentocinquanta bambini.
Una grande confusione.
Per fortuna non me ne sono dovuto occupare io, perché ero un tuttofare, ma in special modo stavo agli ordini di uno degli assistenti di scena, che a sua volta doveva seguire la segretaria del regista, che era incaricata di occuparsi della protagonista del film, Brigitte Helm.
Brigitte Helm: una giovane promessa del cinema
Insomma, ero l’ultima ruota del carro, anzi l’ultimissima.
Ma chi se ne importa, anche così ho avuto la possibilità di vedere da vicino, e anche di parlarci, la bellissima Brigitte, che impersona il triplice ruolo della fredda donna robot, della dolcissima ragazza di nome Maria e del suo clone sensuale.
Mamma mia quanto è bella, e quanto è giovane, neanche venti anni!
Certo che lei è stata più fortunata di me, che pure è già un bel pezzo che lavoro nel cinema, agli studi della Universum Film di Berlino.
Invece lei, assunta come segretaria non appena diplomata, fece un solo provino ed è stata subito scelta per la parte più importante del film.
Però se la merita tutta, questa fortuna, perché oltre ad essere bella è anche brava.
Sono sicuro che nei prossimi anni diventerà un’attrice famosa in tutto il mondo, un po’ come Asta Nielsen, che però è danese anche se recita nei nostri film tedeschi.
E questa sua bravura Brigitte l’ha dimostrata tutta in Metropolis, un film importante, difficile e, soprattutto per me, complicato da capire.
Intanto interpretava tre parti: la donna robot, la donna umana e la donna clone, recitazioni completamente differenti.
Poi, per la donna robot, doveva indossare una specie di corazza, che però non era di metallo.
Le sfide dietro le quinte di Metropolis
Mi ricordo quando è venuto il signor Schulze-Mittendorff con il progetto del costume del robot, spiegando ad herr Lang e al suo gruppo di lavoro che pensava di costruirlo usando un nuovo materiale appena messo in commercio: il “legno di plastica”, una specie di stucco modellabile che, una volta indurito, si poteva tagliare, incollare, dipingere; insomma, diventava uguale al legno.
Per prima cosa è stato fatto un calco di gesso sul corpo di Brigitte, mentre lei era in piedi e non poteva muoversi, sopportando tutto al limite della pazienza.
Ho sentito Rudolf, l’attore che interpretava Rotwang, lo scienziato pazzo, dire che il costume era troppo stretto e quasi impediva a Brigitte di respirare, poi tutti gli addetti, mentre cercavano di limare i bordi interni, a volte tagliavano e pizzicavano la sua pelle.
Ho visto questa ragazza, pur decisa e determinata, arrivare al punto di piangere e di chiedere al regista il perché di quel supplizio se tanto, una volta indossato il casco, nessuno del pubblico avrebbe capito che dentro c’era lei.
L’ho sentito rispondere: “Il pubblico no, ma io sì”: secondo me è stato un po’ troppo duro, ma forse voleva insegnare a Brigitte cosa significa recitare, forse voleva costruire la sua armatura interiore, oltre a quella esterna che lei stava indossando in quel momento.
E poi, se già negli studi faceva caldo per colpa delle luci di scena, mi immagino la temperatura all’interno del costume.
Lavoro di squadra
Per questo la segretaria e l’assistente di scena cercavano di alleviare il malessere di Brigitte: uno, con l’asciugacapelli, mandava aria fredda per diminuire il caldo all’interno di questo strano costume, l’altra le faceva bere una bibita con la cannuccia per rinfrescarle la gola.
Io stavo nei dintorni per dare una mano quando occorreva ed ho potuto scambiare qualche parola con Brigitte, cercando di tirarle su il morale.
Anche durante le riprese questa armatura, che poi era stata ricoperta con una vernice spray in modo che sembrasse di metallo, impediva i movimenti di Brigitte: per la scena del trono di lamiera abbiamo costruito una specie di cavalletto di legno con un sedile incernierato: quando lei doveva alzarsi, un operaio nascosto dietro al trono azionava una leva che faceva inclinare il sedile, aiutandola a mettersi in piedi.
Insomma, uno strazio per la povera ragazza.
Per fortuna le riprese, in cui c’era la donna robot, sono state raggruppate in nove giorni, per dar modo a Brigitte di recitare in abiti normali per il resto della produzione.
Pensavo che fosse stata questa scomposizione delle riprese, prima una scena poi un’altra e un’altra ancora senza logica, a non farmi capire la storia del film.
Però ieri, quando l’ho visto tutto di seguito al cinema, l’ho capito poco ugualmente.
Per fortuna la prossima settimana comincio a lavorare ad un’altra produzione, dove c’è anche uno degli assistenti di herr Lang.
Vorrà dire che me lo farò spiegare da lui.
Però una cosa l’ho capita: Brigitte è bella, ma da vicino è bellissima!
* * *
Perché ho scelto Metropolis?
Il racconto che avete appena letto mi è stato suggerito da alcune foto di Horst von Harbou, fotografo di scena del film Metropolis, che mi hanno colpito per il fascino del bianconero e dell’uso particolare della luce, che rispecchiava l’originalità delle inquadrature cinematografiche.
Non a caso questo film, pur essendo muto, è rappresentativo di una certa ricerca in campo artistico nata in Germania, al tempo della Repubblica di Weimar (1918-1933): proprio negli stessi anni in cui si sviluppa la Bauhaus, culla delle arti moderne e, in parte, anche della fotografia grazie a fotografi come Làszló Moholy-Nagy, autore di studi sulle distorsioni dell’obiettivo e sulla capacità di fissare il movimento, nonché di esperimenti per la stampa diretta sulla carta sensibile senza l’utilizzo della fotocamera.
Un altro membro della Bauhaus, il pittore e fotografo Paul Citroen, pubblicò nel 1923 un ciclo di fotomontaggi sulle città del futuro, dal titolo Metropolis: un’opera che ispirò Lang sia per il titolo del suo film sia per la realizzazione dei modellini in scala dei grattacieli nella città di Metropolis.
Nota cinematografica: Brigitte Helm (1908-1996), divenuta famosa grazie a Metropolis, interpretò ancora una trentina di film, sempre sotto contratto della Universum Film, fino al suo ritiro dalle scene nel 1936.
Nella sua carriera fece l’errore di rifiutare, nel 1930, il personaggio di Lola ne L’angelo azzurro, interpretato poi da Marlene Dietrich, una parte che ne decretò il successo internazionale.
Che ne pensi della storia di Metropolis di Fritz Lang?
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