Parigi, un giorno di un mese qualsiasi di inizio Novecento – Alphonse Bertillon e il manuale di procedura sulla scena del crimine.
Chiudo soddisfatto la cartellina del rapporto sull’ultimo omicidio, di cui mi sono occupato in questi giorni, che ci ha dato un bel po’ di filo da torcere.
Per fortuna, con le tecniche messe a punto qualche anno fa da Alphonse Bertillon, siamo riusciti a scoprire l’assassino, un vero insospettabile…
L’inizio delle procedure di Alphonse Bertillon
In realtà, agli inizi la procedura d’indagine di Bertillon non era stata subito accettata dagli alti papaveri del Quai des Orfèvres, la sede della polizia giudiziaria.
C’era voluto il caso Ravachol, ricordate?
Era accaduto qualche anno fa, quando una bomba era esplosa davanti alla casa di Benoit, il presidente del tribunale.
Sulle prime si era pensato all’azione di un gruppo anarchico ed era stato anche effettuato un arresto, ma poi l’esplosione di un’altra bomba aveva indirizzato le indagini su un’altra strada.

I sospetti erano caduti prima su una persona di nome Leger, poi su un’altra di nome Ravachol, infine su un terzo indiziato chiamato Koenigstein.
Solo grazie a Bertillon e alla comparazione delle schede, con le misure antropometriche, la polizia era arrivata a scoprire che si trattava dello stesso individuo.
Questo successo aveva convinto il prefetto Casamasse ad affidare a Bertillon la riorganizzazione dello schedario giudiziario.
L’introduzione del casellario giudiziario
Infatti, qualche mese dopo, il dirigente capo della Sûreté aveva riunito noi investigatori della polizia giudiziaria per parlarci di queste nuove procedure da seguire: molti di noi erano rimasti scettici, e qualcuno anche contrariato, visto l’aggravio di lavoro che avremmo avuto.
Io, curioso e appassionato di novità tecniche, avevo voluto saperne di più; così, quando avevano chiesto chi fosse disponibile a incontrare Bertillon mi ero fatto avanti insieme a pochi altri.
Conoscevo Bertillon già da una quindicina d’anni, quando ero un semplice poliziotto e lui era stato appena assunto come scritturale di ventesimo grado, grazie alle conoscenze di suo padre.
Non avevo mai avuto una frequentazione stretta con lui ma, incontrandolo in seguito di persona, non mi era sembrato affatto uno sprovveduto, conosceva le procedure di polizia, la misurazione antropometrica e tutto il resto.
In quel primo incontro ci raccontò che, agli inizi, aveva trovato il casellario giudiziario messo su alla rinfusa, non aggiornato da secoli, rimanendo scandalizzato da quella confusione, specialmente lui, figlio del capo dell’Ufficio Statistico.
L’introduzione della fotografia segnaletica

Certo la polizia aveva fatto passi da gigante da quando, nel 1811, Eugène François Vidocq aveva creato la celebre Brigade de la Sûreté, con agenti in borghese, ma a quel tempo non esisteva ancora la fotografia: i poliziotti andavano nelle carceri e facevano sfilare i detenuti davanti a loro, in modo da imprimersi bene in mente i loro visi.
Per fortuna, dal 1840 era state introdotte le nuove tecniche fotografiche e, al tempo di Bertillon, lo schedario giudiziario raccoglieva 80.000 schede personali, con foto in cui i criminali erano ripresi solo di fronte.
Spesso, però, le foto erano mosse e fuori fuoco, altre volte mancava il riferimento alla relativa scheda segnaletica, così gli investigatori erano costretti a guardare queste “gallerie di furfanti”, come le chiamavano, e confrontare ogni volta le foto con le schede: un lavoro immane.
Bertillon aveva cominciato a lavorare proprio sull’assenza di collegamento tra le informazioni a disposizione, riportando nomi e dati dei delinquenti sul retro delle immagini: solo così, ne era convinto, si potevano raggiungere migliori risultati nell’identificazione dei criminali; inoltre stava studiando un metodo per una consultazione più rapida delle schede.
Per questo motivo nel 1882 era stato nominato capo-fotografo della questura di Parigi.
Con orgoglio ricorda sempre di quando, il 20 febbraio 1883, aveva scoperto una scheda doppia della stessa persona, ma con due identità: Dupont e Martin.
Era stato un successo che lo aveva portato, cinque anni più tardi, ad essere nominato direttore del Servizio identificazione della polizia.
Il manuale di procedura: “La photographie judiciaire”

Una decina di anni fa, nel 1890, ha anche dato alle stampe un manuale di procedura, La photographie judiciaire, un successo fra noi investigatori: personalmente lo tengo sempre sulla scrivania, pronto per la consultazione.
È veramente una guida pratica, a volte un po’ complessa come anche l’argomento che tratta, però c’è scritto tutto quello che c’è da sapere per una corretta fotografia segnaletica, dall’illuminazione necessaria, alla posa da fare assumere al soggetto, con una precisione quasi maniacale.
Aspetta, com’è che scrive? Ah, sì: «collocare esattamente il soggetto di lato, con lo sguardo portato in orizzontale».
È bello conoscere le origini del nostro lavoro di investigatori: se è difficile per l’abilità e l’astuzia dei criminali, col ‘metodo Bertillon’ o, come lo chiamano i giornalisti, il bertillonage, i tempi di cattura dei criminali sono molto più rapidi.
Poi, con la novità della doppia fotografia segnaletica, di fronte e di profilo, il lavoro di indagine è sempre più facile e preciso, anche se richiede il doppio lavoro da parte dei fotografi, che sicuramente gli mandano un mare di accidenti al giorno, ma era così che era stato risolto il caso Ravachol.
Le nuove tecniche di Bertillon sulla scena del crimine
Come se non bastasse, Bertillon ha introdotto altre metodologie sulla scena del crimine: prima di iniziare ogni analisi di un nuovo caso devono essere scattate più foto possibili del luogo dove si è svolto il crimine e del corpo della vittima.
È arrivato anche a ordinare lo scatto di immagini con prospettiva dall’alto, grazie a un treppiede altissimo per “congelare” ogni scena, prima di un eventuale inquinamento delle prove da parte degli investigatori intervenuti: i giornalisti hanno chiamato questo sistema “la vista con l’occhio di Dio”.
Beh, con Alphonse Bertillon e le sue tecniche moderne, il crimine ha sempre più le ore contate.
Adesso vado a ripassarmi qualche pagina del suo manuale.
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Le origini della fotografia forense

Il racconto che avete appena letto mi è stato suggerito da un articolo del mio amico Marco Scataglini, fotografo professionista, scritto tempo fa a proposito della fotografia forense e delle attenzioni da seguire nel fotografare la scena del crimine affinché le informazioni rilevate risultino aderenti alla realtà.
Nell’articolo si citavano appunto gli albori di questo ramo particolare della fotografia, partendo dai primi esperimenti di Alphonse Bertillon (1853-1914) e dell’italiano Luigi Tomellini, che aveva collaborato con lui, portando le nuove teorie anche in Italia, e proseguiti con tanti altri, fino ad arrivare agli attuali standard moderni, ormai conosciuti da tutti grazie ai film polizieschi e alle numerose fiction televisive.
Nel 2023 il manuale operativo di Alphonse Bertillon è stato pubblicato in italiano Scalpendi Editore, col titolo “La fotografia giudiziaria”.
Tu conoscevi già la storia di Alphonse Bertillon e l’origine della fotografia forense?
Se vuoi conoscere altre storie dietro gli scatti più iconici, allora non perderti gli articoli della rubrica “una foto, una storia”!