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Todd Hido e Henri Prestes: Paesaggi notturni

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È notte, c’è la nebbia, e tu eri uscito per fotografare il cielo stellato. Uscita buttata. O forse no?

La storia della fotografia è piena di esempi in cui condizioni apparentemente avverse si rivelano occasioni preziose per sperimentare.

È proprio nei limiti che spesso si aprono nuove vie, a volte persino più interessanti e potenti di quelle già percorse.

È questo, credo, il caso di Todd Hido e Henri Prestes: due autori che hanno saputo trasformare il buio, la foschia e l’isolamento in materia viva per costruire un linguaggio visivo unico.

Todd Hido

Fotografo statunitense nato nel 1968, Todd Hido (qui un articolo di approfondimento) si è formato alla Rhode Island School of Design, come anche Francesca Woodman.

Le sue serie più note, House Hunting e Home at night—poi diventate un libro—sono nate quasi per caso, mentre guidava di notte lungo la West Coast.

Hido si fermava lungo strade anonime, in quartieri suburbani illuminati solo da qualche lampione, dalla luna o dalle luci interne delle case.

Non si riesce a collocare esattamente dove o quando siano state scattate quelle immagini.

Eppure, tutto rimanda a un’atmosfera tipicamente americana, con richiami al dopoguerra, a una piccola cittadina sperduta, economicamente modesta.

Le case appaiono fredde, buie, e anche le luci accese sembrano incapaci di emanare calore.

Todd-Hido-–-Homes-at-Night-_2423.-Una-casa-di-notte-in-un-paesaggio-innevato.

Un elemento affascinante del suo lavoro è proprio il gioco delle luci: spesso una sola finestra accesa domina l’immagine, resa abbagliante dalla lunga esposizione.

Ma non c’è voyeurismo.

Non sentiamo davvero il desiderio di sapere cosa stia succedendo all’interno: è la tensione dell’attesa, l’aura oscura e sospesa che tiene lo sguardo fuori, in una dimensione quasi metafisica.

Le immagini di Hido sembrano destinate a restare così, immobili, per sempre.

Todd si considera più un artista che un fotografo in senso stretto, e questa visione emerge ancora più chiaramente in una seconda serie importante: Landscapes.

Qui il soggetto non è il paesaggio nel senso tradizionale.

Todd Hido – Landscapes 2423. Un paesaggio alberato visto da dietro un finestrino bagnato dalla pioggia.

Durante giornate di pioggia, Hido fotografa attraverso i finestrini della propria auto, lasciando che le gocce d’acqua e i riflessi deformino la scena.

I paesaggi diventano visioni oniriche, distorte, cariche di una sensazione più che di una descrizione.

La scrittrice Katya Tylevich racconta di averlo visto spruzzare d’acqua il finestrino per simulare l’effetto desiderato.

Lo stesso Hido afferma:

Ho imparato, per pura delusione, che a volte devo fare delle foto, ma fuori non piove.
E ancora:
Non posso fare foto di natura pura. Il paesaggio che sto fotografando non esiste, a meno che tu non ci possa arrivare guidando.

Quello che quindi spinge Todd a fare le foto non è il semplice paesaggio, è un viaggio interiore, una sensazione.

Non è la natura che lui vuole fotografare, è una sensazione.

Il suo non è un lavoro documentaristico.

 Non è la natura il suo soggetto, ma l’impressione che essa lascia.

Quello che insegue è un viaggio interiore, un’emozione filtrata attraverso vetri appannati e distorsioni visive.

Henri Pretes

Un altro fotografo che, a mio parere, lavora in una direzione simile a quella di Todd Hido è Henri Prestes.

Portoghese, con radici culturali molto diverse da quelle americane, Prestes ha sviluppato un linguaggio visivo personale ma chiaramente influenzato da autori come Hido, specialmente nel modo in cui sfrutta le condizioni atmosferiche e lavora sulla luce.

Anche per Henri, il paesaggio non è mai il vero soggetto.

Non parte da un luogo preciso, ma da un’emozione che vuole evocare.

Come lui stesso racconta, prima di uscire a scattare ha in mente più un mood che una composizione, più un’atmosfera che un’inquadratura.

E come Hido, aspetta il maltempo: pioggia, nebbia, neve.

Henri Pretes – The Velvet Kingdom. Un uomo cammina chinato in un campo di fiori gialli, tra la nebbia e gli alberi.

Sono proprio questi elementi a rendere il paesaggio pieno di narrazione.

Una differenza fondamentale, però, è la presenza ricorrente della figura umana.

Spesso immersa in un campo di grano, in una foresta, o su una strada abbandonata, ripresa di spalle o sfocata dalla foschia.

Queste presenze solitarie, vagamente minacciose o malinconiche, non sono mai ritratti ma piuttosto simboli: proiezioni interiori, metafore della solitudine, della perdita, del ricordo.

L’umano è parte della scena, ma sempre distante, sfuggente.

Dal punto di vista tecnico, Prestes lavora moltissimo in post-produzione.

I suoi colori, spesso intensi e irreali, non corrispondono ai colori reali della scena, al contrario di Todd.

Non c’è quindi un interesse documentario: il colore è usato come strumento narrativo.

Il risultato sono immagini dal forte impatto cinematografico, che sembrano fotogrammi di un film.

Il mistero non si risolve, non si spiega: resta lì, sospeso nella nebbia.

Ho scelto di mettere a confronto questi due autori perché, pur partendo da contesti e tecniche diverse, riescono entrambi a trasformare l’oscurità e il meteo ostile in risorsa creativa.

Le loro immagini non ci mostrano un luogo, ma uno stato d’animo.

È nel buio, nella pioggia, nella nebbia, che riescono a far emergere una forma rara di bellezza malinconica, un’estetica dell’assenza che ci costringe a restare, a guardare, a sentire.

Proviamoci

Matteo Monzali – Foreste Casentinesi. Una figura incappucciata cammina nella foresta tra la nebbia color rosa. Atmosfera fantascientifica e misteriosa..webp

Nella continua ricerca di sviluppare capacità tecniche ed espressive, ho provato a ricreare la stessa atmosfera sospesa e misteriosa che i due autori riescono a portare nelle loro foto, per imparare qualcosa di più.

Avevo tra le mani una fotografia scattata durante un workshop nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi: una figura incappucciata cammina in una foresta avvolta dalla nebbia.

Gli abeti, slanciati e fitti, creano una verticalità che colpisce lo sguardo, suggerendo quasi un senso di sacralità.

La figura umana, piccola ma centrale, aggiunge un elemento narrativo, un punto di identificazione.

Senza di lei, sarebbe “solo” un paesaggio suggestivo. Con lei, diventa una scena, un racconto.

Lavorando con le curve, aggiungendo qualche maschera selettiva, ho cercato di accentuare quel senso di profondità e mistero, aggiungendo anche i colori irreali di Henri Pretes nel rosa della densa nebbia.

Non so se sono riuscito a evocare esattamente le stesse sensazioni, ma il processo stesso è stato interessante: ho capito che a volte non c’è necessità di attenersi all’immagine reale, ma si può modificare la realtà per trasmettere il messaggio che si vuole.

Per approfondire:


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