L’Islanda è una terra di contrasti.
Neve bianca e ghiaccio azzurro si alternano alla lava nera e alle eruzioni vulcaniche rosse.
I prati verdi convivono con venti sferzanti e un clima inospitale.
In questa terra estrema, il legame tra uomo e natura è viscerale: l’uno non potrebbe esistere senza l’altra.
La fotografia in Islanda non si è sviluppata inizialmente grazie alla popolazione locale, ma grazie al fotografo francese Alfred Des Cloizeaux, che nel 1845 portò per la prima volta una fotocamera nel Paese.
Fotografò gli abitanti locali, lasciando un segno nella storia dell’immagine nordica.
Poco dopo, due preti islandesi iniziarono a praticare la dagherrotipia, un antico metodo fotografico che richiedeva lunghi tempi di esposizione.
Il primo fotografo professionista islandese fu Sigfús Eymundsson, che immortalava eroi del passato, ufficiali, poeti e lavoratori comuni.
Fu anche il primo a intuire il potenziale commerciale dei paesaggi islandesi.
Con l’evoluzione tecnica e la maggiore accessibilità dei materiali fotografici, anche in Islanda il numero di fotografi crebbe.
Il paesaggio e il rapporto profondo con la natura rimasero però centrali nei loro lavori.
Anche noi siamo andati in Islanda!
In questo contesto si inserisce Ragnar Axelsson, uno dei più noti fotografi islandesi contemporanei.
Ragnar Axelsson e l’esperienza umana in artico
Conosciuto anche come RAX, Ragnar Axelsson è nato nel 1958 e ha iniziato la sua carriera fotografica presso il quotidiano islandese Morgunblaðið, a Reykjavik.
Da allora ha documentato la vita e il paesaggio delle regioni artiche più remote: Islanda, Groenlandia, Siberia, Isole Faroe.
Lo stesso Axelsson spiega così il suo rapporto con la natura, e il suo modo di relazionarsi con il luogo che abita.
“Come fotografo, sono sempre stato ispirato dal magnifico rapporto tra uomo e natura. Le fotografie che ho scattato negli ultimi trent’anni sono così il mio contributo alle persone del nord. Sento che è una vera sfida affrontare una battaglia continua e quotidiana contro le inflessibili forze della natura, solo per sopravvivere.
L’Artico sta ora affrontando un nuovo futuro, con i poli che si sciolgono più rapidamente che mai. L’attenzione si è spostata sulle persone che vivono lì. Contadini e pescatori islandesi sono coloro che devono trovare un modo per continuare a vivere in armonia con la natura artica. Ho documentato le loro vite perché sono i volti umani del cambiamento climatico.”
Il bianco e nero come scelta narrativa
Tutte le fotografie di Axelsson sono in bianco e nero, una scelta precisa che potenzia la forza narrativa dei suoi scatti.
Nei paesaggi gelidi e immensi dell’Artico, il colore verrebbe secondo lui percepito come un elemento di distrazione.
“La mia passione è la fotografia in bianco e nero. I miei libri fotografici sono prevalentemente in bianco e nero. Considero il mio lavoro come una serie di immagini in bianco e nero. Ciò non significa che non scatti foto a colori, anzi lo faccio spesso, ma preferisco fotografare in bianco e nero. Dico sempre che tutto ciò che è bello a colori è ancora più bello in bianco e nero. Per me, le fotografie in bianco e nero sono nella maggior parte dei casi immagini più forti rispetto a quelle a colori; i colori non distraggono dall’osservazione della struttura e del soggetto.
Tra i riferimenti visivi di Axelsson ci sono i grandi maestri della fotografia classica e la sua mentore Mary Ellen Mark, anch’essa fedele al bianco e nero.
“Le immagini in bianco e nero creano un’atmosfera che per me rappresenta la magia della fotografia. Questo non vale solo per l’uso effettivo dell’attrezzatura fotografica, ma per l’intero processo: come le immagini vengono stampate, bruciate e schiarite nella camera oscura.”
Documentare un mondo che cambia
Negli ultimi anni, Axelsson ha rivolto la sua attenzione al cambiamento climatico e alle sue ripercussioni sull’ambiente e sulle comunità artiche.
Un punto di svolta è rappresentato dal libro Last Days of the Arctic (2010), che raccoglie fotografie e testimonianze raccolte in oltre vent’anni di lavoro in Groenlandia e Islanda.
Il volume documenta la vita dei cacciatori inuit della Groenlandia, degli allevatori islandesi, e di altri abitanti del nord che si trovano oggi a fronteggiare cambiamenti rapidi e spesso irreversibili.
Le immagini non sono solo paesaggi ma ritratti intimi, che mostrano visi segnati dal vento e dalla fatica, mani spaccate dal freddo, gesti quotidiani che parlano di resilienza e tradizione.
“La vita delle persone che vivono in queste condizioni, che vivono ai margini. All’inizio non percepivo il cambiamento climatico, o qualcosa del genere, passavo la maggior parte del tempo a congelare.
Ma poi ho capito che stava accadendo. Così ho continuato a documentare questa vita che cambia. Il ghiaccio diventa più sottile, ci sono sempre meno cacciatori.
Sto cercando di documentare qualcosa che è destinato a scomparire.”
Il titolo stesso suggerisce un’urgenza: questi potrebbero essere gli ultimi giorni di un mondo che esiste da millenni, e che oggi rischia di scomparire sotto la pressione del clima che cambia, dell’industrializzazione e dell’abbandono delle pratiche tradizionali.
Axelsson non fa denuncia aperta, ma mostra, con grande delicatezza, la bellezza e la fragilità di culture profondamente radicate nella natura.
Nel 2011, insieme al regista Magnús Viðar Sigurðsson, Axelsson ha realizzato il documentario Last Days of the Arctic (2011), un film che racconta la sua vita, il suo lavoro e la sua lunga esplorazione dei territori artici.
Gli animali e il racconto del paesaggio artico
Due aspetti colpiscono particolarmente nella produzione fotografica di Axelsson.
Il primo è la centralità del mondo animale.
Nell’Artico, animali come i cani da slitta sono fondamentali per la sopravvivenza e la mobilità.
Axelsson li ritrae con la stessa intensità e dignità riservata ai volti umani, creando un parallelismo tra specie diverse unite dalla stessa lotta quotidiana contro la natura.
Il secondo è la sua capacità narrativa.
Le sue fotografie ti trasportano.
Riesci a sentire il vento gelido, a percepire il silenzio rarefatto dell’Artico.
Il bianco e nero conferisce ai suoi scatti un’aura senza tempo, evocando un mondo antico, dove la spiritualità della natura è ancora viva e centrale.
Voglio concludere con una citazione dello stesso fotografo, che racconta come la sua ricerca fotografica sia un percorso continuo, mai concluso.
Lo racconta in una riflessione che condivido e che racchiude bene il suo approccio:
“Quando scatti foto, devi sempre pensare: qual è la foto migliore? E nella mia mente, è sempre la prossima. Perché se pensi: “Beh, questa è una bella foto, ho finito, posso rilassarmi”, hai già perso qualcosa. Non ti puoi mai rilassare. Devi scattare quella dopo, che sarà, probabilmente, spero, quella buona.
È una ricerca che dura tutta la vita: trovare La Foto.“
Approfondimenti:
• Tatiana Hopper: The Photography Of Ragnar Axelsson https://www.youtube.com/watch?v=X-kA4YnKBbw&ab_channel=TatianaHopper
• Leica: Ragnar Axelsson – Written in Ice https://www.youtube.com/watch?v=CvZFWgy3hVQ
• Leica: Around Iceland in 80 hours: https://leica-camera.blog/2015/04/30/ragnar-axelsson-around-iceland-in-80-hours/
Sei mai stato in Artico? Pensi che le foto di Alexsson riescano a trasmettere la vita al confine?