“Non sono mai stato interessato a documentare la realtà. Ciò che mi affascina è la fantasia, il sogno e il desiderio di esplorare nuovi mondi”.
Nel variegato mondo della fotografia contemporanea, pochi artisti sono riusciti a creare un immaginario unico e riconoscibile come quello di Tim Walker.
Gli scatti, caratterizzati da un’estetica onirica e bizzarra, sono costruzioni di mondi fantastici nei quali lo spettatore è chiamato ad immergersi senza convenzioni.
Nato in Inghilterra nel 1970, Tim Walker, si avvicina alla fotografia sin da ragazzo ma, solo più tardi, grazie al lavoro presso la biblioteca Condé Nast di Londra, nella quale si occupa dell’archivio di Cecil Beaton, decide di studiare fotografia all’Exeter College of Art.
Al termine degli studi si trasferisce a New York dove lavora come assistente nello studio di Richard Avedon, una figura che, sebbene distante dal suo immaginario creativo, si rivelerà fondamentale nel suo percorso formativo.
Al termine di questa esperienza, durata un anno e finita con un licenziamento da parte di Avedon, Walker decide di rientrare a Londra.
Convinto di non poter continuare questo tipo di professione a causa delle sue scarse conoscenze tecniche, decide di abbandonare la fotografia, ma proprio in quel periodo un suo scatto viene pubblicato su British Vogue e la sua carriera decolla.
L’ordinato caos di Tim Walker
Il fotografo inizia a collaborare con le maggiori testate di moda, firma campagne per importanti stilisti tra i quali Gucci, Chanel, Yohji Yamamoto, COMME des GARÇON e nel 2018 è chiamato a realizzare il Calendario Pirelli per il quale sceglie come tema Alice nel Paese delle Meraviglie.
Da sempre appassionato di disegno, Walker, progetta ogni suo scatto nei minimi dettagli lasciandosi ispirare da tutto quello che lo circonda: tessuti, libri, film, riviste, opere d’arte, oggetti di uso quotidiano.
Ogni cosa, per il fotografo, può essere un punto di partenza.
Raccoglie i materiali su dei quaderni nei quali prende appunti, disegna o semplicemente incolla le immagini che lo colpiscono.
Le sue fotografie sembrano uscire direttamente da una favola, i personaggi sono immersi in scenari irreali, quasi onirici e gli oggetti assumono proporzioni inaspettate.
C’è una costante rottura delle regole spaziali e temporali.
Gli elementi ingigantiti, deformati o collocati in situazioni inusuali perdono la loro funzione convenzionale e concorrono alla creazione di un singolare linguaggio narrativo.
La sua estetica affonda le sue radici in epoche passate.
Sono evidenti i richiami alla pittura preraffaellita, al romanticismo, alle ambientazioni vittoriane.
Nei suoi set gli abiti fastosi, i castelli e le atmosfere vintage si combinano con elementi fuori contesto, creando un cortocircuito visivo che lascia l’osservatore sospeso tra il richiamo del passato e l’innovazione del futuro.
Uno degli aspetti più affascinanti del suo lavoro è l’approccio quasi artigianale alla fotografia.
I suoi scatti più conosciuti ed elaborati sono il risultato di lunghi periodi di pianificazione e costruzione e della stretta collaborazione con artigiani, scenografi, costumisti, truccatori e parrucchieri.
Non essendo, come ha più volte dichiarato, interessato alla tecnica fotografica, ed all’uso della post-produzione digitale, Walker preferisce creare tutto sul set.
“Costruisco ogni cosa sul set. Preferisco che l’illusione sia fisica, palpabile, piuttosto che digitale”.
In un mondo in cui la tecnologia ridefinisce ogni aspetto della fotografia, Walker sceglie deliberatamente di mantenere viva l’autenticità dei materiali, delle scenografie costruite a mano, della tecnica delle luci.
Il suo approccio alla fotografia va oltre la ricerca della bellezza convenzionale: è un’indagine sul potere dell’immaginazione, una continua esplorazione dei confini tra il reale e il fantastico.
Le sue immagini ci invitano a un viaggio in cui l’impossibile diventa possibile, dove la fiaba non è solo un’evasione dalla realtà, ma una lente attraverso cui esplorare la condizione umana in tutta la sua complessità.
Il suo lavoro non cerca di ingannare l’occhio, bensì di sfidarlo, invitandoci a sospendere la nostra incredulità e ad abbracciare l’idea che, nella fotografia come nella vita, ci sia sempre spazio per la meraviglia.
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