Odessa, un giorno qualsiasi del 1930 – La scalinata di Odessa
Approfittando della bella giornata di sole, l’uomo si è recato sul lungomare di Odessa, raggiungendo poco dopo la Grande Scalinata o Boulevard a gradini, ma che pian piano sta cambiando nome in Scalinata Potëmkin, per le drammatiche scene del film che Ėjzenštejn vi ha girato cinque anni fa per celebrare l’ammutinamento dell’equipaggio della corazzata nel 1905.
Lui era troppo giovane per ricordare quei giorni ma, col tempo, aveva studiato quegli avvenimenti, anche perché erano stati i primi, purtroppo ancora troppo acerbi, tentativi di rivolta popolare contro la dittatura zarista.
Da quello che aveva letto, alla fine di giugno l’equipaggio della nave si era ammutinato contro gli ufficiali e in particolare contro il comandante che voleva imporre loro di mangiare carne avariate.
Nei tumulti scoppiati a bordo era morto un marinaio e al suo funerale la città era insorta, provocando una rivolta contro l’esercito.
La corazzata, che aveva sparato anche una cannonata contro un palazzo del governo, aveva ricevuto il sostegno di altre tre navi, che poi si erano arrese alla flotta imperiale; la Potëmkin, invece, era fuggita in Romania, dove era stata sequestrata e restituita alla Russia.

Si era trattato del semplice rifiuto di pochi marinai e di una piccola rivolta degli abitanti di Odessa, ma si aggiungevano alla “domenica di sangue” di gennaio e ad altre rivolte a Varsavia: i primi vagiti di un’insofferenza popolare verso lo zar Nicola, che sarebbe poi sfociata nella gloriosa Grande Rivoluzione dell’ottobre del 1917.
La corazzata Potëmkin: dal fatto storico al mito cinematografico
Quella se la ricorda bene, l’uomo, perché era stato uno sconvolgimento politico difficile da dimenticare, si chiudeva finalmente un mondo ammuffito e si apriva il futuro.
E si ricorda bene anche il fermento culturale che ne era seguito, una liberazione dalle catene della censura governativa, un cambiamento che lui aveva toccato con mano quando, insieme agli altri studenti della Scuola di Arte e Design “Stroganov” di Mosca, dove si era iscritto dopo aver lasciato l’istituto d’arte di Kazan.
Dalla rivoluzione culturale alla sperimentazione artistica

Era stato un periodo di grande fermento per lui, curioso di tutte le arti, ora finalmente libere, dalla grafica, al teatro, al cinema.
Aveva scritto anche un saggio sul movimento costruttivista, con cui collaborava, che aveva suscitato l’interesse del fotografo ungherese László Moholy-Nagy, cosa che lo riempiva sempre d’orgoglio.
Forse è per questo che si era poi interessato alla fotografia per lo sviluppo dei suoi lavori?
In ogni caso aveva iniziato ad usare le foto nei suoi lavori di grafica, ottenendo degli efficaci fotomontaggi, come quello diventato famoso in tutta l’Unione Sovietica per la campagna di promozione dell’alfabetizzazione popolare.
Ma l’incarico più importante, e questo non potrà mai dimenticarlo, era stato quando cinque anni prima il grande regista Ėjzenštejn gli aveva affidato la realizzazione del cartellone pubblicitario del suo film, “La corazzata Potëmkin”, un grande film celebrativo, ma al tempo stesso innovativo per il nuovo taglio delle inquadrature.
Prima di realizzare il manifesto aveva visto il film per prendere qualche idea.
La parte che lo aveva colpito di più era quella della reazione zarista contro degli abitanti di Odessa assiepati sulla scalinata, per inneggiare all’ammutinamento dei marinai: il contrasto della confusione dei fuggitivi contro l’ordine composto dei militari, implacabili con i fucili spianati, i dettagli dei volti della folla contro le ombre o le spalle dei soldati, ma soprattutto la madre col bambino senza vita in braccio, sola contro il plotone che la ucciderà.
Il manifesto della carrozzina e la potenza di una singola immagine

In tutte queste scene risaltava la presenza dei gradini della scalinata, spesso ripresi in diagonale, e nei primi piani degli stivali dei soldati che calpestano i morti.
La scelta del soggetto per il manifesto era caduta sulla carrozzina che, abbandonata dalla madre morente, corre in una fuga incontrollata lungo la scalinata, trascinando con sé il neonato.
Istintivamente tocca la stoffa della tasca della giacca, dove porta la sua piccola fotocamera tedesca.
Mentre ripensa alla stessa immagine nel suo fotomontaggio, con la coda dell’occhio percepisce un movimento più in basso: lungo la scalinata una donna con un bambino in braccio sta salendo i gradini, una massa scura stagliata contro il grigio verde del marmo dei gradini.
In un attimo Aleksandr Michajlovič Rodčenko ritorna al presente, prende dalla tasca la piccola fotocamera Leica e scatta una foto, bloccando quell’istante: il ricordo della madre col figlio in carrozzina, uccisa dalle guardie zariste, o forse la pura e semplice ricerca di forme, linee e contrasti?
Chissà.
* * *
Rodčenko, l’obiettivo rivoluzionario e il destino della sua arte

Il racconto che avete appena letto trae spunto dalla visione di alcuni fotogrammi del film del 1925, La corazzata Potëmkin, del regista russo Sergej Michajlovič Ėjzenštejn: film reso comicamente famoso da una celebre espressione negativa di Paolo Villaggio ne Il secondo tragico Fantozzi (1976).
Al contrario, il film ha segnato la storia del cinema russo, e forse anche mondiale, sia per la sua forte valenza politica sia per le innovazioni sceniche introdotte nella realizzazione.
Se come direttore della fotografia aveva scelto Ėduard Tissė, per la pubblicità Ėjzenštejn si rivolse ad Aleksandr Rodčenko, già conosciuto per il manifesto per l’incentivazione della lettura con la foto di Lilja Jur’evna Brik, scrittrice e attrice, nonché amante di Majakovskij.
Oltre al cartellone del film, con la carrozzina sulla scalinata, Rodchenko ne realizzò altri, in particolare quello con la foto della torretta della corazzata con due cannoni in primo piano.
La collaborazione fra il regista e l’artista illustra bene il fermento culturale d’avanguardia degli anni Venti in Unione Sovietica, di certo sull’onda di un generale cambiamento artistico che si respirava in tutta Europa.
In Germania nasceva la Bauhaus, scuola d’arte e design di Weimar, il cui esponente di spicco László Moholy-Nagy era interessato all’attività artistica di Rodchenko.
Mentre però la Bauhaus chiudeva a causa dell’avvento del nazismo, il movimento costruttivista russo venne utilizzato per fini politici, viste le sue finalità sociali.
Nella metà degli anni Venti Rodchenko, che si era accostato alla fotografia, necessaria per la realizzazione della cartellonistica pubblicitaria, abbandonò la pittura per dedicarsi esclusivamente alla ricerca di un’estetica fotografica, che privilegiava prospettive inaspettate ed angolazioni diverse dall’usuale, come il taglio obliquo della scalinata in quella foto del 1930.
Con l’ascesa al potere di Stalin, però, le sue fotografie furono ostacolate dalla censura perché considerate inutili sia per il popolo sia per la propaganda di regime, e poi troppo in stile “occidentale”: obbligato a fotografare solo gli eventi ufficiali del governo, nel 1940 abbandonò la fotografia per tornare di nuovo alla pittura.
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