Goodbye, my darling – Set cinematografico di un film qualsiasi, in una città qualsiasi, giugno 1954
Ingrid aveva già saputo della morte di Robert dai suoi collaboratori qualche giorno prima, però erano solo parole e le parole vanno nell’aria, non si fermano, non puoi afferrarle, e se vuoi, se vuoi illuderti, puoi anche pensare che non siano mai state pronunciate.
Ma ora che aveva letto la tragica notizia nel lungo servizio della rivista Life, scritto da John Mecklin, quelle parole si erano condensate, avevano preso forma e dimensione, per trasformarsi nella cruda realtà, alla quale non ci si può mai sottrarre.
Quei pochi anni vissuti insieme erano stati intensi e meravigliosi, nonostante i rispettivi lavori non permettessero di vedersi spesso.
Era stato un amore difficile perché lei era sposata col dottor Petter Aron Lindström ed aveva una figlia di sei anni, Pia; gli studios di Hollywood, inoltre avevano creato per lei l’immagine di una “ragazza acqua e sapone” o della “moglie perfetta”, che sarebbe stata compromessa da quell’adulterio nella società bigotta di quegli anni.
Con la memoria Ingrid torna indietro nel tempo ai brevi momenti felici vissuti insieme, quasi un film di quelli da lei intrepretati, un film che però non aveva avuto un lieto fine, anzi un finale prima dolente e poi doloroso.

Ricorda il loro primo incontro, nel giugno del 1945, nella hall dell’Hotel Ritz a Parigi, quando lei si trovava in Europa per partecipare alla tournée organizzata dall’United Service Organizations (USO) per le truppe americane: Robert l’aveva fermata con la scusa di fotografarla per Life, in realtà affascinato dalla sua bellezza eterea.
Erano usciti la sera stessa, ma in gruppo con altre persone, tra cui il commediografo Irving Shaw; dopo la cena da Maxim’s erano andati tutti in un piccolo night club di Montmartre, dove avevano bevuto e ballato tutta la notte.
Ingrid ricorda ancora come fosse rimasta colpita da quell’uomo, che somigliava molto ai personaggi maschili dei film, invece era vero, reale, apparso improvvisamente nella sua vita.
“Capa è meraviglioso e folle e possiede una bella mente”, aveva detto tempo dopo al suo press agent Joe Steele.
Si erano lasciati, così, con una bella e reciproca infatuazione e nulla di più, perché lei aveva proseguito per Berlino, tappa successiva della tournée.
Ma il destino aveva deciso altro per loro e un mese dopo anche Robert aveva raggiunto la capitale tedesca, come inviato di Life.
In quella città, ormai distrutta dai bombardamenti, che entrambi faticavano a riconoscere da quella in cui avevano vissuto negli anni Trenta, era scoccata la passione.
Lei lasciò il musicista Larry Adler, con cui aveva una relazione senza importanza, e si legò sempre più a Robert, che ne fece la sua musa.
La fotografò, lei, così elegante e raffinata, sullo sfondo di rovine di palazzi, appartamenti sventrati, monumenti rasi completamente al suolo.
Un pomeriggio, nello scheletro di una casa, trovò una vasca da bagno mezza distrutta ed esclamò:
“Questo sarà un colpo grosso: per la prima volta, Ingrid Bergman fotografata in una vasca da bagno”.
Ingrid s’era divertita un mondo a mettersi in posa in quel rottame di ferro, indossando un foulard in testa e il suo lungo impermeabile reso famoso dal film Casablanca.
Per poterle stare vicino, senza destare troppi sospetti, l’anno seguente Robert aveva chiesto ad Alfred Hitchcock di lavorare, come inviato di Life, sul set del film Notorius L’amante perduta, che l’attrice svedese girava al fianco di Cary Grant; successivamente si era fatto assumere addirittura come fotografo di scena da Lewis Milestones, regista di Arco di trionfo, in cui Ingrid era protagonista insieme a Charles Boyer e Charles Laughton.

In seguito si erano rivisti spesso sui set dei vari film, interpretati da Ingrid, che Robert aveva cominciato a frequentare e che, almeno per un po’, gli facevano riposare l’anima e la mente dagli orrori delle guerre che aveva raccontato con la sua fotocamera.
Ingrid aveva approfittato di questo periodo di tranquillità di Robert per cercare convincerlo a continuare come fotografo di scena o aprire uno studio professionale, purché smettesse di girare il mondo inseguendo le guerre; ma Robert era un’anima inquieta e il lavoro troppo tranquillo non faceva per lui.
Intanto il matrimonio di Ingrid era in crisi, soprattutto perché il marito si comportava più da agente che da consorte, e lei era disposta a divorziare per sposare il suo nuovo amore.
E quando lei glielo chiese, Robert rispose: “Se dovessi partire per la Corea da un giorno all’altro e noi fossimo felicemente sposati, magari con un figlio, finirei per rinunciare ad andarci. E per me sarebbe la fine. Non sono il tipo di uomo che si sistema”.
Ingrid ricorda a memoria la lettera che Robert le aveva scritto quando erano ancora innamorati:
“Non andartene. Sono così poche le cose preziose nella vita. La vita in sé non è preziosa, ciò che conta sono i momenti spensierati. Ed è la tua spensieratezza che amo e non capita spesso di trovarla, nella vita di un uomo”.
“Non andartene”, e invece era stato lui ad andarsene, era partito per l’Italia a scattare foto per il cinema, in attesa di un nuovo conflitto, per essere puntuale all’appuntamento con la morte.
Qualcuno bussa alla porta del camerino, una voce l’avverte che è richiesta sul set.
Ingrid chiude la rivista, prende un bel respiro ed esce per andare a interpretare una delle tante vite del suo mestiere di attrice, con la consapevolezza che una parte della sua vita vera era finita per sempre tra le paludi dell’Indocina francese.
Ma Robert era fatto così, lui viveva la vita mangiandola a morsi, al posto del sangue nelle vene scorreva l’adrenalina di un mestiere pericoloso, non poteva smettere.
Goodbye, my darling.
* * *

La cronaca ha sempre raccontato la grande storia d’amore di Ingrid Bergman e Roberto Rossellini, durata dal 1948 al 1957, e dalla quale sono nati tre figli, tra cui Roberto jr, regista come il padre, e Isabella, attrice come la madre.
Poco invece si conosce del rapporto sentimentale che, sia pure per soli un paio di anni, aveva legato profondamente l’attrice svedese al fotografo ungherese, naturalizzato francese, Robert Capa, al secolo Endre Ernő Friedmann.
Di loro restano poche immagini insieme, a testimonianza della riservatezza di come vivevano questa storia, se non quelle scattate da Capa alla Bergman sui set in cui entrambi lavoravano.
Purtroppo gli scatti di lei nella vasca da bagno a Berlino sono andati perduti perché le pellicole si rovinarono per la fretta nello sviluppo; fortunatamente l’unica testimonianza è la foto scattata da un amico di Capa, Carl Goodwin, presente alla scena.
Una curiosità: il tentativo di convincimento della Bergman, per far lasciare il fotogiornalismo a Capa, ispirò Hitchcock per il film La finestra sul cortile (1954), con Cary Grant nel ruolo del fotografo e Grace Kelly in quello di sua moglie.
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