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Sebastião Salgado – Testimone della sua epoca

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Sebastião Salgado – Testimone della sua epoca

L’inizio di un amore per la fotografia

Sebastião Salgado nasce nel 1944 ad Aimorés, in Brasile.

Dopo aver studiato economia, ottiene un dottorato a Parigi e inizia a lavorare come economista per l’Organizzazione Internazionale del Caffè.

Questo lavoro lo porta a viaggiare frequentemente in Africa, dove entra in contatto con culture profondamente diverse da quelle occidentali e sudamericane.

È proprio durante uno di questi viaggi, nei primi anni ’70, che Salgado inizia a fotografare con la macchina fotografica di sua moglie Léila Wanick, anche lei brasiliana.

L’esperienza visiva e umana gli apre una nuova consapevolezza.

Ritratto di Sebastião Salgado. Copyright: Renato Amoroso

Così, a circa trent’anni, lascia il lavoro sicuro per intraprendere la carriera di fotografo professionista.

Inizia un lungo percorso da fotoreporter che lo porterà a documentare la condizione umana nei suoi aspetti più tragici: le trasformazioni politiche, le crisi sociali, i cambiamenti ambientali.

Negli anni successivi, Salgado attraversa il mondo con uno sguardo attento e profondo.

Documenta la carestia nel Sahel in Africa subsahariana, racconta le grandi migrazioni globali, esplora paesaggi remoti e intatti, ancora non intaccati dall’intervento umano.

Uno stile inconfondibile: il bianco e nero di Sebastião Salgado

Lo stile fotografico di Sebastião Salgado è inconfondibile.

Le sue immagini, rigorosamente in bianco e nero, si distinguono per l’uso drammatico e sapiente della luce e per i contrasti intensi, che rendono ogni fotografia una composizione quasi scultorea.

Ogni dettaglio è nitido.

Infatti, Salgado fotografa infatti con diaframmi molto chiusi.

La sua scelta tecnica ha una motivazione precisa:

“I shoot with the closed aperture, because I think that is how we humans see things as well. All focused. The eye does not blur, it sees everything focused.”

Con la pellicola, questa tecnica era complicata a causa della bassa sensibilità ISO.

Solo con l’arrivo delle fotocamere digitali e la possibilità di usare alti ISO, Salgado ha potuto mantenere quella profondità di campo anche con le condizioni di luce più difficili, come ad esempio per le foreste più fitte.

Per questo iniziò a usare fotocamere Canon, senza però abbandonare alcune abitudini analogiche.

Ad esempio racconta che spesso disattivava il display della fotocamera per non vedere subito il risultato dello scatto, come se stesse usando la pellicola, per poi rivedere le immagini solamente a fine giornata.

Un modo per restare concentrato sulla realtà che lo circondava, e non sull’immagine.

Sciamano-Yanomami-dialoga-con-gli-spiriti

Un dettaglio che mi ha colpito riguarda l’uso degli obiettivi.

A differenza di molti fotografi documentaristi che prediligono le lenti fisse (prime) per la loro qualità ottica e per sviluppare un “occhio allenato”, Salgado dice di preferire spesso obiettivi zoom.

Una scelta che sottolinea come non esista una sola regola.

Questo è un aspetto che mi piace e mi incuriosisce.

Vedere che non tutti i fotografi sono uguali. Che non c’è una regola generale. Che la fotografia è sperimentazione continua, uscire dalle regole, libertà di trovare la propria visione nel mondo.

Fotografia di denuncia

I progetti di Sebastião Salgado sono spesso immensi.

Durano anni, si estendono su più continenti e affrontano temi profondi legati alla condizione umana, alle disuguaglianze globali, alle trasformazioni ambientali.

Il suo stile è quello della fotografia documentaria, ma arricchito da un’empatia quasi da attivista visivo.

Ogni progetto alla fine sfocia in una selezione di qualche centinaio di immagini, raccolte poi in libri fotografici o esposte in mostre.

Fotografia-dal-progetto-“Sahel-L’homme-en-détresse-1986-Copyright-Sebastião-Salgado-Contrasto

Salgado però non si limita a fotografare. È un testimone del suo tempo. Un autore che si immerge nei contesti, e che restituisce al mondo una narrazione approfondita di ciò che accade nel suo tempo.

Ma proprio la bellezza delle sue immagini ha sollevato numerose critiche.

Le sue fotografie sono magnifiche: splendidi giochi di luce, attente composizioni, soggetti potenti.

Ma spesso ritraggono povertà, sofferenza, catastrofi ambientali.

E qui sorge la domanda su cui si è spesso dibattuto: fino a che punto si può estetizzare la sofferenza?

Susan Sontag, scrittrice statunitense, nel suo libro Regarding the Pain of Others, definisce Salgado “a photographer who specializes in world misery”, il cui lavoro “has been the principal target of the new campaign against the inauthenticity of the beautiful.”

Una critica che lo accusa di rendere esteticamente piacevole la sofferenza e quindi meno autentica, meno eticamente efficace.

Anche l’editrice Ingrid Sischy accusa il suo lavoro di essere “eccessivamente semplificato” e “troppo diretto”, e quindi inefficace.

Sostiene inoltre che il rendere bella una tragedia finisce per anestetizzare chi guarda, terminando quindi il suo scopo principale di testimonianza e richiesta di azione.

La sua tesi è chiara: “la bellezza chiede ammirazione, non azione.”.

In parole povere, fotografare la miseria con troppa grazia potrebbe indebolire l’urgenza etica di reagire ad essa.

Ma la questione resta aperta.

Alcuni infatti, dicono di riuscire facilmente a separare l’estetica dal contenuto.

Per loro quindi l’eleganza delle immagini non toglie forza al messaggio, ma anzi lo amplifica.

E soprattutto, Salgado non presenta mai le sue fotografie singolarmente.

Le immagini fanno parte di serie lunghe e articolate, dove ogni scatto è un piccolo pezzo all’interno di un tema complesso, visto da tanti diversi punti di vista.

Il suo obiettivo non è stupire con un’immagine perfetta, ma presentare un soggetto o un argomento nella sua profondità.

I grandi progetti

Ogni suo progetto è il risultato di anni di ricerca, viaggi e incontri.

Le sue serie fotografano le ferite del nostro tempo: carestie, guerre, migrazioni, ma anche il lavoro manuale e la bellezza incontaminata della natura.

Di seguito, alcuni dei suoi progetti più emblematici:

  • 1986 – Sahel: L’homme en détresse
    Uno dei primi grandi reportage di Salgado, frutto di 15 mesi passati nella regione del Sahel, in collaborazione con Medici Senza Frontiere.
    Il progetto documenta le tragiche conseguenze della carestia e dei conflitti armati nel Sahel, in una fascia di territorio che si estende sotto il Sahara.
  • 1993 – Workers. An Archaeology of the Industrial Age.
    Un omaggio epico al lavoro fisico.
    Salgado viaggia in tutto il mondo per documentare le professioni manuali che sopravvivono alla modernità: minatori, pescatori, raccoglitori di canna da zucchero, operai siderurgici.
    L’approccio è quasi archeologico: un’indagine sul valore del lavoro umano come radice culturale dell’umanità, oggi in via di estinzione.
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  • 2000 – Migrations
    In questo progetto Salgado affronta una delle grandi questioni globali contemporanee: le migrazioni.
    I motivi che le creano sono però diversi.
    Guerre, povertà, disastri ambientali, mentre il risultato è lo stesso: milioni di persone costrette ad abbandonare le proprie terre.
    Salgado vuole mostrare come tutto ciò che accade sulla Terra sia interconnesso e come i migranti rappresentino la testimonianza vivente di questa interdipendenza globale.
  • 2007 – Africa
    Una raccolta di fotografie scattate nell’arco di trent’anni in tutta l’Africa.
    La sua Africa è afflitta da problemi tra cui conflitti, povertà e malattie, ma allo stesso tempo è intrisa di storia.
  • 2013 – Genesis
    Salgado racconta un viaggio durato molti anni per fotografare i luoghi più remoti e incontaminati del pianeta: ghiacciai, deserti, foreste, tribù indigene, animali selvatici.
    Il progetto ha un intento chiaro: mostrare la bellezza primordiale della Terra e promuovere una maggiore consapevolezza ecologica.

Spinto da un forte attivismo ambientale, nel 1998 Salgado crea con la moglie l’Instituto Terra.

Ripianta oltre 2,5 milioni di alberi nella sua città natale in Brasile, trasformando un’area desertificata in un ecosistema vitale, dove sono poi tornati uccelli, insetti, mammiferi.

Purtroppo Salgado ci ha lasciati il 23 maggio 2025, all’età di 81 anni, a Parigi.

Mostre da non perdere

Nel 2025 e 2026, abbiamo l’occasione di entrare nel mondo di Sebastião Salgado attraverso due importanti esposizioni dedicate a uno dei temi che lo appassionarono negli ultimi anni: i ghiacciai.

Pinguini che si tuffano in mare da un pezzo di ghiaccio. Isole Sandwich Australi, 2009 - Copyright Sebastião SalgadoContrasto

Si tratta di una riflessione visiva potente sullo stato del nostro pianeta e sul rischio di perdere, forse per sempre, alcune delle sue meraviglie più fragili.

Le mostre si svolgono in due sedi d’eccellenza della cultura scientifica e artistica italiana:

  • A Trento, al MUSE, dal 12 aprile 2025 all’11 gennaio 2026
  • A Rovereto, al Mart, dal 12 aprile al 21 settembre 2025

Fonti e Approfondimenti:


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